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Terra d'Egnazia

~ 'Gnatia Lymphis iratis exstructa'

Terra d'Egnazia

Archivi Mensili: Maggio 2014

Monopoli – Area ex Cementeria – II Parte

30 venerdì Mag 2014

Posted by terradegnazia in Ambiente, Territorio, Urbanistica

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Il documento redatto dal Coordinamento di Associazioni e Movimenti

rigenerazione

Lo spot della Regione Puglia sulla Rigenerazione Urbana

 

  • Di cosa parliamo quando parliamo di rigenerazione urbana 

La rigenerazione, se è ben governata e se passa attraverso reali percorsi di partecipazione dei cittadini – come la Regione Puglia rende obbligatorio – può davvero rappresentare l’elemento che consente alle città di ripensare a se stesse insieme a tutti coloro che le popolano, le abitano, le vivono e vi lavorano.

La rigenerazione diventa quindi una reale opportunità per riparare ai danni del passato, per immaginare il futuro salvaguardando il patrimonio storico, culturale e ambientale, per creare lavoro e avanzamento sociale.


Naturalmente, come sottolineava la professoressa Barbanente nel passo citato in precedenza, avere a disposizione degli importanti strumenti di legge non è di per sé sufficiente:

occorre volerli adoperare per il bene comune ed è necessario che le amministrazioni locali e i cittadini si impegnino seriamente per intraprendere questi percorsi.

E’ quindi condizione essenziale che tra operatori, professionisti, cittadini e rappresentanti politici si sviluppi seriamente una vera cultura della città.

Ancora una volta torniamo al tema della partecipazione:se, come abbiamo visto, la partecipazione è un’esigenza largamente sentita, che traspare dalla trama della Costituzione e viene sancita in modo ancor più visibile dall’articolo 118 del riformato Titolo V, diviene ora elemento imprescindibile fissato dalla normativa regionale.

Nel sintetico documento che accompagna il breve video istituzionale della Regione Puglia :

“(…) La legge e i programmi regionali pongono enfasi su alcuni requisiti che devono caratterizzare i processi di rigenerazione ai fini dell’efficacia degli stessi:

la partecipazione sociale, perché gli abitanti, in quanto profondi conoscitori dei propri ambienti di vita, di lavoro e di ricreazione, svolgano un ruolo attivo nella loro rigenerazione, valorizzando le qualità peculiari dei luoghi, contribuendo con le proprie competenze alla redazione dei progetti e poi prendendosi cura degli spazi riqualificati (…)”


Il tema della rigenerazione urbana e le sue opportunità sono ben sintetizzati dal succitato documento che recita:


“Il concetto di rigenerazione è legato a strategie messe a punto dai governi locali per affrontare le situazioni di crisi della città contemporanea mediante interventi non solo di riqualificazione fisica (urbanistica ed edilizia) ma anche di rinascita culturale, sviluppo economico e inclusione sociale. In Puglia il governo regionale si è fatto promotore di iniziative volte a sollecitare gli enti locali a definire queste strategie, ritenendole presupposti essenziali per ripensare lo sviluppo in chiave sostenibile e durevole. La carica innovativa di questo approccio risiede, sul versante dell’urbanistica, nella volontà di creare una netta discontinuità rispetto a decenni di esclusivo interesse per l’espansione delle città, di progetti elaborati nel chiuso degli studi professionali e calati dall’alto in contesti noti solo superficialmente, di una pianificazione quantitativa e astratta, incapace di dare risposta a concreti bisogni e domande sociali; sul versante delle politiche di sviluppo, l’elemento più innovativo consiste nella centralità attribuita al territorio, inteso nel suo intreccio di risorse materiali e immateriali, che comprende anche la sfera sociale e culturale e le capacità dei soggetti di attivarsi e autorganizzarsi per la sua messa in valore.

Gli strumenti approvati dalla Regione per promuovere quest’idea di rigenerazione e per affermarne l’approccio e i contenuti a livello locale sono tanti e fra loro complementari: normativi, d’indirizzo, finanziari (…)”.

E ancora:

“(…) Obiettivo della Regione è trasformare la riqualificazione urbana da evento straordinario ad attività ordinaria, da azione occasionale a pratica diffusa a livello locale, da intervento episodico a visione strategica per la rigenerazione di parti di città e sistemi urbani (…)

Altri requisiti necessari, oltre alla partecipazione dei cittadini devono essere:

“(…)  l’integrazione degli interventi non solo fra operatori pubblici e privati, fra destinazioni residenziali, terziarie e di servizio, fra classi sociali, per favorire la mescolanza di funzioni e popolazioni urbane, ma anche fra dimensione fisica, sociale ed economica, per rompere il circolo vizioso fra degrado fisico e disagio sociale;

il risanamento ambientale mediante l’adozione di criteri di sostenibilità ambientale e risparmio energetico nella esecuzione delle opere edilizie, la previsione di infrastrutture ecologiche, il recupero di aree permeabili (…)

Come dice ancora la professoressa Barbanente (da “Speciale Urbanpromo”, allegato a “Giornale dell’Architettura”, inverno 2013): “(…) Le ragioni della rigenerazione sono diverse: dalla necessità di riqualificare parti di città che versano in condizioni di degrado e abbandono, al dovere di restituire un ambiente di vita dignitoso a famiglie che abitano in periferie recenti prive di infrastrutture e servizi, alla necessità di arrestare un dissennato consumo di suolo che, oltre che sottrarre una risorsa collettiva irriproducibile e produrre elevatissimi costi sociali ed economici per la collettività, non è stata in grado di dare adeguata risposta al disagio abitativo (…)”.

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A tali parole si collegano perfettamente quelle del Prof. Alberto Magnaghi, l’esimio urbanista, responsabile scientifico del Piano Paesaggistico Territoriale Regionale, il primo tentativo in Italia di dare una risposta complessiva e organica ai temi della tutela del patrimonio territoriale e del suo sviluppo sostenibile:

“In Puglia ho trovato un grande consumo di suolo e anche una enorme occupazione edilizia, con molto abusivismo sulle coste, e con periferie caratterizzate da bassa qualità costruttiva e disordine urbanistico. A questa visione si oppone, tuttavia, un patrimonio paesaggistico straordinario che rischia di essere trattato molto male, in nome di un’idea di sviluppo distorta che può magari dare benefici economici nell’immediato, ma annientare completamente le ricchezze del territorio.Si prenda il caso delle coste: finora le linee di intervento, sia abusive che legali, sono state quelle dell’occupazione attraverso infrastrutture – case, alberghi e villaggi – inseguendo una linea di tendenza che potrebbe trasformare dune, spiagge e scogliere in una sola colata di cemento. Il Piano, invece, tende a dare valore paesaggistico, ambientale e culturale alle città storiche sul mare e agli aspetti naturalistici, pure di un’ampia fascia dell’entroterra. Se vogliamo dire quali sono gli elementi caratterizzanti del Piano paesaggistico c’è da sottolineare che attraverso l’adozione di questo strumento la Puglia è la prima regione a licenziarlo in accordo con le regole del ministero per i Beni culturali e, per la prima volta, riguarda l’intero territorio regionale e questo prefigura pure un intervento attivo di valorizzazione e riqualificazione di paesaggi degradati, dalle periferie urbane alle zone industriali” (dall’intervista rilasciata a “La Repubblica Bari”, 20 settembre 2013).


 

  • Due grandi assenti quando si discute di interventi urbani: il consumo di suolo e il dissesto idrogeologico

Nelle loro dichiarazioni precedentemente riportate, sia Barbanente che Magnaghi, molto opportunamente, pongono l’accento sul grande, dissennato consumo di suolo, a cui è indispensabile porre un argine.

Questo non è un problema denunciato solo da alcuni gruppi ambientalisti “fondamentalisti”, ma un allarme che proviene ormai da molteplici e autorevoli voci. E’ un argomento che colpevolmente viene del tutto tralasciato quando si discute di interventi di trasformazione delle nostre città, sebbene la cronaca ce lo ricordi con cadenza settimanale, se non quotidiana.

Il livello di impermeabilizzazione del suolo, derivante da uno smodato consumo che non accenna a rallentare malgrado la crisi del settore edile, fa sì che bastino poche ore di pioggia per creare danni ingentissimi. Ultimo disastro, proprio delle scorse ore, a Senigallia, in una zona costiera che presenta caratteristiche molto simili a quelle del nostro territorio urbano e costiero.

I dati forniti dall’ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale del Ministero dell’Ambiente sono a dir poco impressionanti così come lo sono i numeri e le immagini di #dissestoitalia, la prima grande inchiesta multimediale sul dissesto idrogeologico (chi lo desidera lo trova nell’approfondimento di seguito).

Ormai non si contano più le voci autorevoli che ci ripetono come sia necessario intervenire subito, tanto con la messa in sicurezza quanto con la prevenzione: il che significa non aumentare, bensì ridurre l’impermeabilizzazione dei suoli, cioè il cemento, legale o abusivo.

Tra gli altri vale la pena di ricordare Franco Gabrielli, capo della Protezione Civile.

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Secondo quanto riferisce l’ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, sono stati ricoperti, negli ultimi 3 anni, altri 720 km2, 0,3 punti percentuali in più rispetto al 2009, un’area pari alla somma dei comuni di Milano, Firenze, Bologna, Napoli e Palermo. In termini assoluti, si è passati da poco più di 21.000 km2 del 2009 ai quasi 22.000 km2 del 2012, mentre in percentuale è ormai perso irreversibilmente il 7,3% del nostro territorio, procedendo ad una velocità di consumo di 8 metri quadri al secondo. La trasformazione del suolo agricolo in cemento non produce impatti solo sui cambiamenti climatici, ma anche sull’acqua e sulla capacità di produzione agricola. In questi 3 anni, tenendo presente che un suolo pienamente funzionante immagazzina acqua fino a 3.750 tonnellate per ettaro – circa 400 mm di precipitazioni – per via della conseguente impermeabilizzazione abbiamo perso una capacità di ritenzione pari a 270 milioni di tonnellate d’acqua che, non potendo infiltrarsi nel terreno, deve essere gestita. In base ad uno studio del Central Europe Programme, secondo il quale un ettaro di suolo consumato comporta una spesa di 6.500 euro (solo per la parte relativa al mantenimento e la pulizia di canali e fognature), il costo della gestione dell’acqua non infiltrata in Italia dal 2009 al 2012, è stato stimato intorno ai 500 milioni di Euro. Ancora, il consumo di suolo produce forti impatti anche sull’agricoltura e quindi sull’alimentazione.

Franco Gabrielli, capo della Protezione Civile, ha tentato di scuotere opinione pubblica, politici e amministratori con il suorichiamo, che ci pare ancora inascoltato (intervista rilasciata a Matteo Guidelli, Ansa, 10 febbraio 2014):
“Se il paese scegliesse di non fare nuove cose, ma di mettere in sicurezza quelle che ci sono, salvaguarderebbe quel patrimonio unico al mondo che sono il nostro territorio, le nostre comunità, i nostri abitanti e che, invece, in questa condizione di generale abbandono è messo in pericolo” e aggiunge: “Credo sia molto difficile riuscire in un paese diviso come il nostro, dove ognuno guarda al proprio particolare, ma dobbiamo provarci. Anche perché – risponde – abbiamo un grosso problema: abbiamo fatto in passato un uso smisurato del suolo e ora ne paghiamo le conseguenze. Si è costruito laddove non si doveva costruire e lo Stato, in molte occasioni, per far cassa ha condonato…Il problema dei problemi è proprio questo: noi parliamo e ci parliamo addosso. Queste cose le ho dette decine di volte e dunque o sono ripetitivo fino alla noia, oppure alle cose non si è dato seguito”.

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E l’allarme di Gabrielli non è certo eccessivo se stiamo semplicemente ai numeri:

anche secondo i dati raccolti in #dissestoitalia, la prima grande inchiesta multimediale sul dissesto idrogeologico, frane e alluvioni in Italia continuano ad aumentare: da poco più di 100 eventi l’anno tra il 2002 e il 2006 siamo gradualmente arrivati ai 351 del 2013 e ai 110 solo nei primi venti giorni del 2014 (data dell’ultima rilevazione). Negli ultimi 12 anni hanno perso la vita 328 persone. Nel gennaio 2014 in soli 23 giorni si sono registrati 110 episodi in tutto il territorio italiano. In poco più di 100 anni ce ne sono stati 12.600.

Secondo la Coldiretti, dal 1960 ad oggi, a causa delle frane e delle alluvioni, in Italia sono morte oltre 4mila persone. Fra il 1960 e il 2012, tutte le venti regioni italiane hanno subito eventi fatali. Si tratta di 541 inondazioni in 451 località di 388 comuni, che hanno causato 1.760 vittime (762 morti, 67 dispersi, 931 feriti), e 812 frane in 747 località di 536 Comuni con 5.368 vittime (3.413 morti compresi i 1.917 dell’evento del Vajont del 1963, 14 dispersi, 1.941 feriti).

Con i cambiamenti climatici, sottolinea sempre la Coldiretti, è sempre più urgente investire nella prevenzione. Eppure negli ultimi venti anni per ogni miliardo stanziato in prevenzione, spiega l’associazione, ne sono stati spesi oltre 2,5 per riparare i danni. Il ministero dell’Ambiente ha quantificato in circa 8,4 miliardi di euro i finanziamenti statali a politiche di prevenzione, mentre nello stesso periodo si sono spesi 22 miliardi di euro per riparare i danni causati da frane ed alluvioni.

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Monopoli – Area ex Cementeria – I Parte

21 mercoledì Mag 2014

Posted by terradegnazia in Cittadinanza, Urbanistica

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Il presente documento è stato redatto il 9 Maggio scorso in occasione del dibattito sul tema cementeria, dal Coordinamento di Associazioni e Movimenti Cittadini monopolitani, formatosi spontaneamente per la partecipazione attiva alla trasformazione dell’area ex Cementeria, ritenuta da tutti area strategica per il futuro sviluppo della città.Copertina3

– INTRODUZIONE –

Chiarezza, Trasparenza e Partecipazione: dal nodo cementeria al governo delle trasformazioni di una città

In queste pagine proviamo a riassumere in modo comprensibile per tutti la complessa realtà della trasformazione dell’area ex-cementeria, e soprattutto le questioni urgenti che essa pone a tutti i cittadini di Monopoli e a quanti, pur non risiedendovi, hanno a cuore questa città.

Mettiamo questo documento a disposizione di tutti le cittadine e i cittadini, di tutte le associazioni, i gruppi, i comitati, i movimenti e le forze politiche.

Monopoli va incontro a una serie di importanti mutamenti, nel suo aspetto esteriore e nella sua natura, nella sua struttura sociale ed economica: affinché un’intera cittadinanza possa decidere della trasformazione del suo habitat, è indispensabile che tutti siano informati ampiamente e in modo corretto.

Ecco perché, volendo fare scelte di qualità, è sempre indispensabile esigere da tutti i protagonisti delle vicende cittadine la massima chiarezza e l’assoluta trasparenza, così che ognuno sia messo nelle migliori condizioni per partecipare ed esprimersi.

Invitiamo quindi i lettori meno abituati a concetti e parole come “piani”, schemi, indici, a non lasciarsi spaventare e fuorviare da questioni che possono apparire “tecniche”:

è sempre bene non perdere di vista il fatto che dentro e dietro tutto questo ci sono decisioni da cui dipendono l’aspetto della città, il suo sviluppo economico e culturale, il suo ruolo nel contesto territoriale regionale e la sua collocazione internazionale, la sua reale vocazione turistica, la sua vita sociale, la salute psicofisica dei suoi abitanti.

In poche, sintetiche parole, si tratta di decisioni che riguardano direttamente e concretamente, la qualità della vita di tutti. E’ per questo che la partecipazione dei cittadini deve essere attuata in modo autentico e corretto: i processi partecipativi, quando seriamente attuati, sono gli unici strumenti in grado di permettere a tutti di sentirsi davvero protagonisti attivi e non passive comparse.Sono gli unici strumenti che possono riavvicinare i cittadini alla “res publica”, la cosa pubblica, cioè alla politica intesa nel suo significato più alto.

Ci piace ricordare come la politica sia nata all’interno della città proprio come discorso sulla “cosa pubblica”, e come la città appartenga a tutti i cittadini, i quali, proprio grazie alla partecipazione, tornano a prendersi cura del patrimonio che hanno ereditato.

Intendiamo il patrimonio nel senso ben spiegato da Tomaso Montanari (“Istruzioni per l’uso”, Minimum Fax 2014):

“Il patrimonio non è un’entità amministrativa, né una categoria economica; è, letteralmente, il retaggio dei padri, l’eredità delle generazioni che ci hanno preceduti. E’ ciò che ci definisce come famiglia, come comunità”. Lo stesso Montanari dice poco dopo: “(…) «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione:» l’articolo 9 della Costituzione si lega all’articolo 1 («La sovranità appartiene al popolo»), perché, conquistando la sovranità, il popolo acquista anche un patrimonio, quello che un tempo era nella disponibilità del re. Così, parlando di patrimonio parliamo di cittadinanza, di sovranità popolare, di uno Stato inteso come comunità (…)”.

Anche il nome della nostra città è un patrimonio ereditato dall’illustre cultura dalla quale probabilmente discendiamo: quel nome è lì a ricordarci che Monopoli ha inscritta nel suo stesso nome la “polis”, il concetto di sfera pubblica e interesse collettivo.

In questo percorso il ruolo dei mezzi di informazione è fondamentale. Li ringraziamo tutti per il lavoro svolto finora e per quello che faranno ancora.


 

  • La partecipazione:  che cos’è e che ruolo ha

Assistiamo a una forte, crescente domanda di partecipazione, proprio nel senso del prendersi cura del nostro patrimonio, cioè del nostro territorio; un bene fondamentale, sul quale possiamo esercitare la sovranità popolare, come è espresso nell’articolo 1 della nostra Costituzione.

La partecipazione non è quindi una “moda” effimera, ma è alla base dello stesso principio di sovranità popolare espresso nello stesso art.1. Ecco quindi che i cittadini incalzano le amministrazioni su questioni decisive come la trasformazione del territorio.

Lo fanno ricordando con forza, a tutti gli attori in campo, che esistono valori superiori, come si suol dire “sovraordinati”, rispetto ad interessi particolari anche quando rilevanti.

La prepotente crescita di partecipazione che si è sviluppata negli ultimi anni ovunque, in Italia e nel mondo, sta stimolando la democrazia delegata e rappresentativa ad aprirsi e a rinnovarsi profondamente nelle sue ragioni e nelle sue pratiche. Questo è il fenomeno nuovo con il quale inevitabilmente la politica tradizionale dovrà confrontarsi in misura  crescente: la partecipazione dei cittadini alla vita della polis non deve esaurirsi al momento del voto.

Se ai partiti è giusto riconoscere un ruolo storico nella nostra società, è pur vero che in questo momento si verifica che la militanza negli stessi non sempre riesce a fornire una risposta adeguata e credibile al bisogno di partecipazione: in molti tendono a percepire le organizzazioni partitiche come “macchine del consenso” che mirano a gestire il potere per favorire la carriera di leader e aspiranti tali.

Accade che le persone, i cittadini, scoprano di volere e di poter rappresentare non più degli interessi individuali e “di parte”, ma interessi generali, comuni, collettivi: interessi quindi costituzionali, quelli sanciti dalla Costituzione italiana.


 

  • Il valore esemplare della partecipazione nel caso dell’area ex-cementeria

La vicenda dell’area ex-cementeria di Monopoli è un perfetto esempio di questa dinamica: a patto che si compia un reale sforzo di chiarezza e trasparenza, essa permette di comprendere quali sono le diverse visioni della città che in questo momento si confrontano.

La storia di Monopoli ci racconta di occasioni mancate, ma non abbiamo più intenzione e voglia di guardare indietro, bensì di individuare la via maestra per risolvere questioni ancora aperte.

Il tema della trasformazione di quest’area è importante per se stesso e in una prospettiva più ampia, che ci interroga su ciò che tutti noi vogliamo fare della nostra città.

A noi interessa porre questioni e proporre possibili soluzioni che riguardano e riguarderanno anche altre aree della città.

Vi è l’esigenza del portatore di interesse “particolare”, che muove dall’interesse economico soggettivo: interesse che nessuno disconosce ma che – come è sancito dagli articoli 41e 42 della nostra Costituzione – non può essere prevalente e soverchiante i diritti di un’intera collettività.

Non di meno, abbiamo l’esigenza della comunità dei cittadini, che è la vera proprietaria del territorio inteso nella sua globalità, come abbiamo ricordato sopra alla luce di quanto definisce la stessa Carta costituzionale.

Tra le due differenti prospettive l’Amministrazione è chiamata a gestire gli eventuali conflitti, dovendo comunque assumere come ruolo quello di tutela del diritto collettivo, evitando che questo sia limitato o addirittura negato da un pur rilevante interesse di natura privata.

Il tema della trasformazione di quest’area è importante per se stesso e in una prospettiva più ampia, che riguarda ciò che tutti noi vogliamo fare della nostra città.

Non siamo qui per partecipare all’ennesima puntata di un “match” tra attuali, precedenti o futuri amministratori, che rivendicano meriti e si rinfacciano demeriti, continuando a discutere sugli eventuali pregi e difetti del Piano Urbanistico Generale di Monopoli, il cosiddetto PUG.

A noi interessa porre questioni e proporre possibili soluzioni che riguardano e riguarderanno anche altre aree della città.


 

  • Gli strumenti della trasformazione di una città: alcune osservazioni relative al PUG

Uno strumento fondamentale, ma come vedremo non l’unico, a disposizione di una città per regolare e governare le sue trasformazioni è il suo Piano Urbanistico Generale, sinteticamente definito PUG.

In relazione al PUG di Monopoli ci interessa fare alcune osservazioni che derivano dalla semplice osservazione dei suoi effetti e delle sue contraddizioni. Nel fare questo sottolineiamo la nostra autonomia da appartenenze a schieramenti partitici.

Il PUG non è evidentemente riuscito a prevedere, e quindi risolvere in modo adeguato, il problema dell’area di cui parliamo. Questo ha generato rilevanti aspettative da parte della proprietà del tempo, la Italcementi, poi trasferite di recente alla “Solemare”.

C’è un limite strutturale nella concezione del PUG di Monopoli come in quello di altre città che si sono dotate in anni recenti di simili strumenti urbanistici: esso risiede nell’idea della cosiddetta “perequazione” o “compensazione”.

La perequazione e la compensazione pongono come fondamento di tutti gli interventi nel/sul territorio concetti come i cosiddetti “diritti edificatori” e i “crediti edilizi”, definiti da molti autorevoli tecnici e giuristi autentici “mostri giuridici”.

Ci rendiamo conto che alcuni anni fa, in particolare nel momento in cui gli enti locali sono stati messi in crescente difficoltà da tagli sempre più consistenti, i meccanismi della perequazione sono apparsi un utile strumento per promuovere trasformazioni urbane, ottenendo dai privati opere pubbliche in cambio di “premialità”, cioè di incentivi a costruire. Ma, come ormai tutti gli osservatori e gli addetti ai lavori più avveduti convengono, questa pratica, soprattutto quando non ben governata, ha sortito un po’ ovunque effetti collaterali indesiderabili, negativi e paradossali, generando nuovi problemi e non dando certo luogo a città più belle, razionali e vivibili.

Il giurista Stefano Lanza ha scritto “L’irresponsabile strada dei diritti edificatori e delle compensazioni urbanistiche”, e aggiunge “(…)i “diritti edificatori sono una balla, le “compensazioni urbanistiche” un regalo alla proprietà fondiaria (…)”. All’aberrazione dei “diritti edificatori”, introdotti dal piano urbanistico di Roma (giunta Veltroni), hanno dedicato interventi illuminanti e una importante opera di contrasto eminenti urbanisti come, tra gli altri, Edoardo Salzano, Vezio De Lucia, Paolo Berdini, Italo Insolera.

D’altro canto anche in casa nostra, in Puglia, come ci ricorda Nicola Signorile, autorevole  saggista e curatore della rubrica “Piazza Grande” su La Gazzetta del Mezzogiorno, “(…) il credito edilizio – introdotto furbescamente agli sgoccioli della giunta Fitto con l’articolo 7 della Legge regionale n.24 del 2004 – è stato abrogato con la successiva Legge regionale n.22 del 2006 (…)”.

I fondamentali studi dell’eminente giurista Paolo Maddalena, già presidente della Corte Costituzionale, dimostrano che l’idea di “ius aedificandi” «(…)contenuto nel diritto di proprietà privata è una pura favola»(vedi “Il territorio bene comune degli Italiani”, Donzelli 2014), spiegando come esso sia il risultato di una interpretazione discutibile e recente del diritto romano, peraltro smentita da ancor più recenti, importanti sentenze come quelle del Consiglio di Stato sez. IV, 29 dicembre 2009, nr. 9006, n. 119,  gennaio 2012, n.6656 del 21 dicembre 2012 e quelle delle Sezioni unite della Corte di Cassazione (nn. 3811 e 3813 del 16 febbraio 2011, 3665 del 14 febbraio 2011).

Come bene dice l’architetto Luisa De Biasio Calimani, nelle sue “Riflessioni sullo spazio pubblico”, “(…) da quando la politica considera la città poco più che un affare utile a risolvere i problemi di bilancio, il privato ha potuto assumere il posto di comando (…)”. Ci vorrebbero molte pagine per raccontare il disastro urbanistico e finanziario di Roma e di altre città “sedotte” dal meccanismo perverso della perequazione e non potremo certo farlo qui, rinviando ad altre future occasioni di dibattito.

A nostro avviso resta il fatto che il PUG di Monopoli è uno strumento che ha evidenti lacune e difetti: persino sulla corretta interpretazione delle sue norme relative all’area portuale (il cosiddetto ambito P1) c’è un dibattito molto forte, in corso ormai da alcune settimane. Riteniamo sia arrivato il momento per fare finalmente chiarezza anche su questo punto.

Malgrado i suoi vizi originari, il PUG ha alcuni pregi, insufficienti però ad affrontare e risolvere i nodi che oggi ci troviamo a dover sciogliere.

Anche il pioneristico tentativo di attuare una pratica partecipativa per Monopoli, con il “Partecipa PUG” non ha sortito gli effetti auspicati: erano altri tempi, evidentemente non ancora maturi.

Il clima in città è cambiato e ora finalmente le istanze partecipative bussano con forza.  La partecipazione rispetto alla trasformazione urbana non può quindi fermarsi a quell’esperienza ormai lontana.


 

  • Quali altri strumenti abbiamo a disposizione

Citiamo alcune parole della professoressa Angela Barbanente, docente di Tecnica Urbanistica e Pianificazione Territoriale presso il Politecnico di Bari, II Facoltà di Ingegneria di Taranto, Vice presidente della Regione Puglia, nonché assessore alla Qualità del Territorio: “(…) in Puglia non abbiamo un deficit di strumenti, anzi penso che ne abbiamo messo a disposizione tanti a favore dei territori delle comunità o degli enti locali. Forse abbiamo un deficit di visione, un deficit di capacità politica, di lavorare sulla base di sguardi ampi alla riqualificazione delle città e dei territori davvero come una opportunità di sviluppo. Abbiamo ancora una politica che lavora in termini di “cogliere l’occasione”, di attendere l’iniziativa privata, ed è incapace di svolgere il ruolo proprio del governo che è quello di guidare, di orientare, di costruire delle visioni che guardino, con lo sguardo largo di questo mondo globalizzato e puntandolo su quelle cose in cui possiamo competere, ovvero sulle peculiarità storiche e qualitative delle nostre città e dei nostri territori. Soltanto in questo modo possiamo utilizzare appieno gli strumenti che già abbiamo, e quando parliamo di strumenti stiamo attenti a non parlare di strumenti urbanistici in automatico ma dobbiamo fare riferimento anche agli strumenti finanziari o agli strumenti organizzativi, ad esempio, per promuovere la cultura della città e del territorio. Per cominciare a crescere ciò deve partire dai singoli professionisti ed arrivare ai singoli cittadini. Se non parte questa cultura sovraccarichiamo gli strumenti urbanistici di troppa responsabilità rispetto a quella che realmente hanno (…)”.

E dunque la professoressa Barbanente delinea con molta precisione il tema che si pone all’ordine del giorno: la ricerca di un senso più condiviso della città intesa come spazio pubblico e bene comune di chi la abita e la vive.

In altri termini ci dice che:

1) la politica deve avere una visione di ampio respiro culturale, sempre nel senso di tutela dello spazio pubblico, per sottrarsi a una logica fatalmente subalterna all’iniziativa privata; 

2) esistono vari strumenti messi a disposizione dall’Amministrazione regionale, ma che questi strumenti non sono automaticamente risolutivi.

Per far sì che questi ultimi abbiano efficacia e concreti risultati vanno sapientemente utilizzate le Leggi regionali:  n.21 del 29 luglio 2008 “Norme per la Rigenerazione urbana”,  n.14 del 10 giugno 2008 ““Misure a sostegno della qualità delle opere di architettura e di trasformazione del territorio”, n.44 del 17 dicembre 2013, “Disposizioni per il recupero, la tutela e la valorizzazione dei borghi più belli d’Italia in Puglia”e, naturalmente, il Piano Paesaggistico Territoriale Regionale (Decreto della Giunta Regionale del 2 agosto 2013).

A questo punto lo stesso PUG di Monopoli andrebbe inquadrato, riletto e più correttamente interpretato nella direzione tracciata dalla leggi appena elencate.


continua…

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