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Terra d'Egnazia

~ 'Gnatia Lymphis iratis exstructa'

Terra d'Egnazia

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Monopoli: La città che vorrei

21 mercoledì Mar 2018

 

In vista delle elezioni amministrative monopolitane del prossimo 27 maggio, dando seguito ed evidenza al lavoro svolto negli ultimi cinque anni insieme ad altre associazioni, Terra d’Egnazia chiede a tutte le forze politiche ed ai rispettivi candidati sindaci, di mettere al centro dei propri programmi le questioni ecologiche legate allo sviluppo economico della città.

Riteniamo che le due parole appena citate, Ecologia ed Economia, ad un primo approccio apparentemente in contrasto tra di loro, siano invece una contenuta nell’altra. Facciamo particolare riferimento al libro di Ferdinando Boero – “Economia senza natura. La grande truffa”

Se è vero infatti che la natura è arrivata prima dell’economia, è altrettanto vero che oggi il mondo è governato da economisti che si rifiutano di tener conto dell’ecologia, e che guardano con superiorità a qualsiasi soluzione amica dell’ambiente. Non capiscono però che l’economia è un corollario dell’ecologia, e che potrà continuare a esistere solo se saprà essere un’economia della, e non senza, natura. Perché quest’ultima, prima o poi, presenta il conto.

Jorge Mario Bergoglio (Papa Francesco), nella sua ultima Enciclica, “Laudato sì” afferma:

“Il paradigma tecnocratico tende ad esercitare il proprio dominio anche sull’economia e sulla politica. L’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza prestare attenzione a eventuali conseguenze negative per l’essere umano. La finanza soffoca l’economia reale. Non si è imparata la lezione della crisi finanziaria mondiale e con molta lentezza si impara quella del deterioramento ambientale”.

Che cosa intendiamo per ambiente? Possiamo affermare che l’insieme dei luoghi frequentati abitualmente dall’individuo e dal gruppo al quale appartiene costituiscono quello che i geografi chiamano “spazio vissuto”, espressione che indica la territorialità umana, l’ecologia insediativa dell’uomo, l’ambiente di vita connotato da elementi come il senso di appartenenza, l’emotività, la storia personale e familiare, le vicende collettive della comunità.

Alla percezione dello spazio vissuto contribuiscono non solo le esperienze affrontate in prima persona, ma anche letture e narrazioni familiari che portano all’elaborazione mentale del senso del luogo.

Possiamo ragionevolmente dire che questi “spazi vissuti” sono quelle porzioni di territorio ricche di beni culturali, storici, artistici e naturalistici, che costituiscono di per sé bene paesaggistico, oggi tutelati definitivamente dal  “Codice dei beni culturali e del paesaggio”.

Paesaggi possono essere anche “visioni” o “pre-visioni” che ognuno di noi riesce ad avere o gli scenari che riesce a prefigurare, degli spazi, dei luoghi della memoria e del presente, i propri spazi appunto, quelli della quotidianità. Il loro variare dipende molto dalle nostre azioni di individui posti in una comunità che, con le sue regole, ne decreta definitivamente le trasformazioni. È questo il “paesaggio culturale” a cui dovremmo ambire e di cui dovremmo essere pervasi cercando di mediare tra le parti chiamate in causa.

 

Indispensabile, in questo contesto, è maturare e promuovere una sensibilità ambientale che aiuti amministratori e cittadini a comprendere come il nostro territorio non rappresenti solo una risorsa da “sfruttare”, ma anche e soprattutto una risorsa da preservare e tutelare, in quanto vera e duratura ricchezza; ricchezza competitiva, che possiamo strategicamente utilizzare, ora e in futuro.

 

Si tratta quindi di scegliere di essere cicala o perseguire gli insegnamenti dei nostri nonni che, come formiche, sono riusciti a preservarci l’immenso patrimonio ormai apprezzato ed invidiato in tutto il mondo.

In quest’ottica emergono tutti i temi che sono alla base di un buon governo, ovvero quelli che riguardano i beni comuni, oggi strategicamente legati ad uno sviluppo che non può più considerare l’economia slegata dalla natura; ciò che oggi sintetizziamo in quel concetto, spesso abusato e distorto, di sviluppo sostenibile:

Ambrogio Lorenzetti: La città del buon governo.

Sul consumo di suolo

Legato al patrimonio agricolo ed al paesaggio agrario fonti primarie dell’economia locale fondata su agricoltura e turismo rurale.

Azioni suggerite:

  1. sottoscrizione della proposta di legge redatta dal FORUM ITALIANO DEI MOVIMENTI PER LA TERRA E IL PAESAGGIO, per la “tutela del suolo e del paesaggio italiano”;
  2. adozione di un documento programmatico che incentivi la rigenerazione urbana per le nuove costruzioni, ponendosi come obbiettivo il consumo di suolo zero;
  3. promozione di un parco agrario, attraverso l’adozione della bandiera della pace dell’UNESCO strumentale per la difesa e la protezione dei tesori artistici e culturali in tutte le nazioni, da istituire nei territori rurali storici della Piana degli ulivi monumentali già inseriti nel paesaggio rurale storico d’Italia e premiati dal Ministero delle Politiche Agricole, Agroalimentari e Forestali.
    Tale misura diventa per noi strategica e propedeutica per ambire  alla candidatura della Piana degli Ulivi a patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, che aggiungerebbe valore alla nostra enogastronomia con la creazione di un marchio di qualità dei prodotti della terra e del mare.

Conosciuto come il “ Patto e la Bandiera della Pace, fu ideata e disegnata da Nicholas Roerich il quale, deplorando la distruzione delle ricchezze artistiche nella prima guerra mondiale, concepì un trattato internazionale per la difesa e la protezione dei tesori artistici e culturali in tutte le nazioni, anticipando lo statuto e la protezione dell’arte e della natura dell’UNESCO, di circa 70 anni.

 

Sulla tutela del Borgo Antico

Con l’avvento del turismo di massa, il borgo antico si sta trasformando e tipizzando in alberghi diffusi, B&B, case vacanza e attività commerciali legate al turismo. Tutto ciò sta avvenendo senza alcuna programmazione  ma soprattutto non tenendo conto delle esigenze dei residenti. Il successo del Borgo Antico è da rintracciare proprio nel suo valore storico/sociale/architettonico fatto di abitanti, le “genti vive” che lo abitano, in quel mix eterogeneo di gruppi socialmente differenti all’interno della stessa area urbana sintetizzato nel concetto di mixitè.

Azioni suggerite:

  1. facendo riferimento alle politiche di rigenerazione integrata, volte a promuovere l’integrazione e la mescolanza sociale, crediamo sia di fondamentale importanza attivare politiche che favoriscano la mixitè, promuovendo la coesione sociale, la lotta alla segregazione e alla dispersione sociale e restituendo alla città gli spazi pubblici;
  2. favorire l’apertura ed il mantenimento di botteghe artigianali di eccellenza, (maestri d’ascia, lavorazioni del ferro battuto, falegnamerie, ecc.),
  3. valorizzare la cultura del mare e la storica marineria, completamente ignorata dalle passate amministrazioni, mediante l’istituzione del Museo del Mare attraverso la creazione di una Mappa di Comunità redatta con il coinvolgimento degli studenti delle scuole primarie e secondarie.

Rig centri storici

 

Sul monitoraggio della costa e sulla pianificazioni delle azioni a supporto di un turismo sostenibile – A cura di Giovanni Melchiorre

Per garantire il “corretto equilibrio fra la salvaguardia degli aspetti ambientali e paesaggistici del litorale monopolitano, la libera fruizione e lo sviluppo delle attività turistico ricreative” (art. 1 norme tecniche di attuazione del Piano Regionale della Costa), risulta fondamentale promuovere una relazione positiva tra tutela e sviluppo della costa.

Un modello di turismo sostenibile che riguardi la fascia costiera, con un’offerta che non duri solo i 2-3 mesi estivi, ma si sviluppi lungo l’intero anno, può essere attuato soltanto dopo un’accurata ricognizione dell’attuale stato dei luoghi ed una conoscenza di tutte le componenti culturali (storiche, fisiche, ambientali, paesaggistiche) degli stessi luoghi.

Negli ultimi 20 anni, la Città ha subito una crescita incontrollata di attività a supporto del turismo balneare, sulla base di strumenti di regolamentazione di rango comunale spesso in contrasto con le norme sovraordinate (regionali e nazionali). Lo stesso Piano Comunale delle Coste, il cui iter tecnico-amministrativo si è arenato dopo l’adozione del Novembre 2015, che molte aspettative ha indotto nella cittadinanza, risulterebbe comunque insufficiente a regolamentare l’attuale situazione di caos ambientale e paesaggistico che caratterizza la costa di Monopoli.
Infatti, la profondità della fascia demaniale che il PCC è chiamato a regolamentare risulta esigua, mentre, la maggior parte di “interventi” funzionali al turismo balneare sono stati realizzati su aree private, soggette, pertanto, alla pianificazione urbanistica comunale (P.U.G.).

Un tema di grande rilievo è quello della “gestione” della costa, con tutte le problematiche legate ai rischi, derivanti dall’elevata esposizione estiva a fronte di significative probabilità di crolli delle porzioni rocciose, ma anche di fenomeni quali l’erosione costiera delle porzioni sabbiose.

Azioni suggerite:

L’azione più importante per progettare un’offerta turistica di alto rango, che tenga conto della sostenibilità economica ed ambientale per attuare qualunque tipo di pianificazione territoriale (urbanistica, della viabilità, turistica, agricola, industriale, …) è il monitoraggio del territorio, fattibile con grande accuratezza grazie alla disponibilità di un’enorme mole di dati satellitari, disponibili giorno per giorno a costi molto vantaggiosi.

Fenomeni come l’arretramento della costa rocciosa e l’erosione delle porzioni sabbiose potrebbero essere conosciuti e studiati al fine di valutare le migliori soluzioni. La gestione delle spiagge, sia libere sia in concessione, risulterebbe molto più efficace, anche negli aspetti quotidiani, come l’oscillazione della linea di battigia e/o la gestione delle BVS (biomasse vegetali spiaggiate).
Tra le azioni già avviate che riguardano la costa vi è certamente il Piano Comunale delle Coste che, tuttavia, necessita di una profonda revisione prima dell’approvazione definitiva, azione questa che deve necessariamente partire dall’analisi delle osservazioni prodotte a seguito dell’adozione, con la massima partecipazione dei cittadini.

Risulta indispensabile, inoltre, programmare la rimozione di barriere e impedimenti al libero accesso al mare, con particolare attenzione al ripristino dei coni visivi.

 

Sulla Partecipazione

La tanto attesa partecipazione tra cittadini, lavoratori pubblici e amministratori, oggi disciplinata dalla L.R. N. 28 del 13/07/2017 per il perseguimento degli interessi generali, si è dimostrata negli anni passati un vero fallimento  (vedi tavoli partecipati nel progetto dell’area P1 dell’ex Cementeria e per la redazione del Piano Comunale della Costa)

Azioni suggerite:

Per favorire la partecipazione attiva e il civismo diffuso come fondamento di una comunità di cittadini è necessario:

  1. Disciplinare le forme di collaborazione tra cittadini, associazioni e amministrazione per la cura, la gestione condivisa dei beni comuni, attraverso l’adozione di un Regolamento della partecipazione attiva e per la collaborazione dei cittadini (prendendo spunto da città virtuose come Pistoia) da sottoporre a consultazione pubblica, sia attraverso incontri specifici dedicati alle realtà più attive del territorio, quali le associazioni, i comitati, il mondo della scuola, sia tramite la rete.
  2. valorizzare le libere forme associative;

 

Su Mobilità e spazi pubblici

Condividiamo e promuoviamo la visione e le proposte di riorganizzazione dello spazio pubblico al fine di migliorarne la qualità e la vivibilità, garantendo l’accessibilità e la sicurezza, che l’associazione #Salvaiciclisti Terre del Sud, in concerto con Terra d’Egnazia, ha redatto e proposto alle forze politiche monopolitane: “Mobilità urbana: la città che vorrei”

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Pubblicato da terradegnazia | Filed under Ambiente, Editoriale, Paesaggio, Territorio

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Piano comunale della costa fasanese – Cicale o Formiche ?

15 sabato Lug 2017

 

Piano Comunale della Costa fasanese – Obbiettivi, Speranze, Timori

 – Torre Canne 14 Luglio 2017 –

Pubblichiamo integralmente l’intervento del presidente di Terra d’Egnazia all’incontro sul Piano Comunale della Costa.

Il mio ruolo in questa conversazione, (come presidente TdE e attivista del MIC) ha l’obbiettivo di definire le parole chiave che dovrebbero essere al centro di un processo di redazione di uno strumento strategico di sviluppo come un PCC, anche attraverso alcune fondamentali notazioni generali sul Piano Regionale delle Coste, per cercare di far comprendere, soprattutto al pubblico intervenuto, di cosa stiamo discutendo e finire con alcune domande ai progettisti.

Le parole chiave

“spazio vissuto” – ecologia – paesaggio

L’insieme dei luoghi frequentati abitualmente dall’individuo e dal gruppo al quale appartiene costituiscono quello che i geografi chiamano “spazio vissuto”, espressione che indica la territorialità umana, l’ecologia insediativa dell’uomo, l’ambiente di vita connotato da elementi come il senso di appartenenza, l’emotività, la storia personale e familiare, le vicende collettive della comunità.

Alla percezione dello spazio vissuto contribuiscono non solo le esperienze affrontate in prima persona, ma anche letture e narrazioni familiari che portano all’elaborazione mentale del senso del luogo.

Questi “spazi vissuti” possiamo ragionevolmente dire che sono anche quelle porzioni di territorio ricche di beni culturali, storici, artistici e naturalistici, che costituiscono di per sé bene paesaggistico, oggi tutelati definitivamente dal  “Codice dei beni culturali e del paesaggio”: in particolare tra le aree tutelate dalla stessa legge vi sono:

“i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare;” (evocando la legge Galasso)

Alla fine degli anni ’90 ho dedicato circa due anni allo studio degli spazi vissuti di questo territorio ed in particolare del territorio fasanese. Qui dopo un’analisi di tipo territorialista, non ancora convenzionale  per quei tempi, venne fuori una suddivisione del territorio in quattro differenti ecologie, in particolare l’ecologia insediativa che definiva il fronte mare( e non solo) s’identificò come l’ “Ecologia dei Gozzi”.(metafora)

Paesaggi(citando anche il neonato “Selva in Festival”) sono anche “visioni” o “pre-visioni” che ognuno di noi riesce ad avere o gli scenari che riesce a prefigurare, degli spazi, dei luoghi della memoria e del presente,  i propri spazi appunto, quelli della quotidianità. Il loro variare dipende molto dalle azioni, le nostre, di individui posti in una comunità che, con le sue regole, ne decreta definitivamente le trasformazioni. E’ questo il paesaggio culturale a cui dovremmo ambire e di cui dovremmo essere pervasi cercando di mediare tra le parti chiamate in causa.

Indispensabile, in questo contesto, maturare e promuovere una sensibilità ambientale che aiuti amministratori e cittadini a comprendere come il nostro territorio non rappresenti solo una risorsa da “sfruttare”, ma anche e soprattutto una risorsa da preservare e tutelare, in quanto vera e duratura ricchezza; ricchezza competitiva, che possiamo strategicamente utilizzare, ora e in futuro.

Si tratta quindi di scegliere di essere cicala o perseguire gli insegnamenti dei nostri nonni, che come formiche sono riusciti a consegnarci l’immenso patrimonio ormai apprezzato ed invidiato in tutto il mondo?

Piano Regionale delle Coste

Il piano si prefigge di “garantire il corretto equilibrio fra la salvaguardia degli aspetti ambientali e paesaggistici del litorale pugliese, la libera fruizione e lo sviluppo delle attività turistico ricreative” (art. 1 norme tecniche di attuazione del Prc). In sintesi, il piano cerca di promuovere una relazione positiva tra tutela e sviluppo della costa.

Interessante appare la definizione dell’ambito territoriale di studio, ampliato in ragione della possibilità di comprensione dei fenomeni ambientali da analizzare. Infatti, considerata l’eterogeneità con cui si presenta l’intero territorio costiero regionale, non è stato analizzato un ambito di studio costante per tutta la regione, né sono stati utilizzati i confini amministrativi dei comuni costieri. Si è ritenuto più utile definire un ambito di studio a geometria variabile a seconda delle specifiche situazioni in cui si presenta la fascia costiera.

Ciò dovrebbe farci evitare di pensare ai molteplici tratti di costa come elementi lineari all’interno della fascia demaniale o dei trecento metri tutelati prima dalla Galasso (L. 431/1985) poi dal Codice Urbani (Dlgs. 42/2004 Codice dei Beni Culturali) ma permette di considerarli come ambiti integrati tra terra e mare dei quali occorre comprendere gli elementi generatori che ne regolano il funzionamento, indirizzando le attività antropiche(dell’uomo) in modo tale da esaltarne le peculiarità.

L’incrocio dei differenti livelli di criticità all’erosione e di sensibilità ambientale ha permesso di ottenere 9 distinti gradi di tutela, che costituiscono il riferimento normativo al quale tutti i comuni dovranno riferirsi nella redazione dei Piani Comunali delle Coste.

Altro aspetto di rilievo del Prc, quello di costituire uno strumento di pianificazione attraverso il quale la Regione possa coordinare e indirizzare l’attività degli Enti locali, ai quali sono state trasferite funzioni amministrative in materia di “rilascio di concessioni demaniali marittime”.

Il Prc quindi fornisce le linee guida, indirizzi e criteri ai quali devono conformarsi i Piani Comunali delle Coste.

Il Piano Comunale della Costa

Allo stesso tempo, la redazione del PCC deve però rappresentare un’occasione irripetibile per la salvaguardia e la valorizzazione dei contesti ambientali e paesaggistici legati ad una fascia di territorio che, partendo dalla linea di costa, si deve estendere verso l’interno ben oltre i 300 metri.

Ritengo che in questa ulteriore attività di previsione attribuita al PCC, risieda una possibilità unica in cui compiere un ulteriore sforzo finalizzato alla tutela di quelle risorse ambientali che, viceversa, rischiano di restare compromesse dalle trasformazioni, a volte irreversibili, che vengono continuamente operate sul territorio.

Per la stima della sensibilità ambientale quindi , si potrebbe riconoscere ad esempio l’approccio suggerito dal PRC, da cui si evince come la sensibilità non sia da valutare solo in funzione della situazione esistente nella fascia demaniale, ma anche di una profonda porzione del territorio a monte,(i corridoi ecologici(lame) che sfociano al mare dando vita alle calette e sorgenti, la piana olivetata, gli orti irrigui) integrando, e quindi facendo dialogare, nella fase di redazione del piano, aspetti legati al turismo con quelli del settore primario(pesca, agricoltura).

Partecipazione

“Il modo migliore di trattare le questioni ambientali è quello di assicurare la partecipazione di tutti i cittadini interessati, ai diversi livelli”. (Convenzione di Aarhus)

La Convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale è il primo e unico strumento internazionale, legalmente vincolante, che recepisce e pone in pratica tale principio, dando concretezza ed efficacia al concetto di democrazia ambientale.

Partecipazione e VAS

Che cos’è la VAS?

La VAS è un processo che concorre alle scelte di Piano per garantire adeguati livelli di protezione dell’ambiente e più in generale la promozione dello sviluppo sostenibile.

A differenza della VIA, la VAS si sviluppa in parallelo alla redazione del piano oggetto della valutazione, per assicurarne le opportune correzioni in corso di redazione e il monitoraggio nelle successive fasi di attuazione, avendo l’obiettivo di “contribuire all’integrazione di considerazioni ambientali all’atto dell’elaborazione e dell’adozione di piani e programmi […] che possono avere effetti significativi sull’ambiente” (art. 1 Direttiva 42/2001).

Il processo di Valutazione ambientale strategica dev’essere per legge progettato e condotto in modo il più possibile partecipativo.

Non essendo ancora in grado di dare un giudizio sul piano in fase di redazione, di cui non sappiamo bene a che punto sia la sua stesura, ed al fine di poter contribuire in maniera significativa a costruire il percorso progettuale e le scelte che si andranno ad operare, chiediamo  ai progettisti che sia precisamente spiegato:

se è stata avviata la procedura di verifica di assoggettabilità a VAS.( procedura finalizzata ad accertare se un piano o un programma debba o meno essere assoggettato alla procedura di Valutazione Ambientale Strategica)

Ss è in fase di redazione ed è disponibile il rapporto preliminare di verifica, che è parte integrante del Piano con l’elenco di tutti i soggetti interessati alla consultazione.

Se e in che modo si intende tenere conto dei contributi acquisiti in fase di consultazione.

Giambattista Giannoccaro

Presidente APS Terra d’Egnazia

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Infrastrutture, consumo di suolo, assetto del territorio

05 sabato Nov 2016

Posted by terradegnazia in Ambiente, Cittadinanza, Editoriale, Paesaggio, Territorio, Urbanistica

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Fasano, Infrastrutture, Mall, Ospedale, Palazzetto, Sport, Territorio

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“Il paradigma tecnocratico tende ad esercitare il proprio dominio anche sull’economia e sulla politica. L’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza prestare attenzione a eventuali conseguenze negative per l’essere umano. La finanza soffoca l’economia reale. Non si è imparata la lezione della crisi finanziaria mondiale e con molta lentezza si impara quella del deterioramento ambientale”.
Jorge Mario Bergoglio, “Laudato sì”

“Il nostro mondo è in pericolo. La curva dell’economia sale, ma la curva dell’ecologia scende. L’uomo, in equilibrio precario sulla crescita dell’economia, sta per essere travolto dalla decrescita dell’ecologia. La natura ce la farà: per lei non ci sono problemi… Piuttosto siamo noi ad essere in pericolo, a causa del nostro sconsiderato successo”.
Ferdinando Boero, Economia senza natura. La grande truffa

Alla c.a.
Ill.mo sindaco di Fasano, dott. Francesco Zaccaria

La prossima realizzazione di infrastrutture come il Palazzetto dello Sport, lo Shopping Mall, le lottizzazioni ad uso residenziale (come per il recupero della ex siderurgica Liuzzi), e/o le per opifici ad uso artigianale, agricolo e industriale, il nuovo Ospedale (il quale, per quanto sorgerà sul territorio di Monopoli e non sia di stretto interesse amministrativo della nostra città, si rivolge alle cittadinanze di un’area vasta in sui è compresa la nostra comunità), offrono non pochi spunti di riflessione sul futuro del nostro territorio, sulle incidenze e ripercussioni ambientali, economiche e sociali.

Si tratta di questioni di fondamentale importanza alle quali spesso la cittadinanza e ancor più la politica non prestano la dovuta attenzione. Ciò accade, spesso, a causa della quasi totale mancanza di sensibilità, attenzione e formazione di base riguardo la natura essenziale del territorio. Sembra radicata nella mentalità dei più, la convinzione che il territorio, e più in generale la terra, sia un bene di consumo usa e getta, non un bene necessario e assoluto, sul quale si fondano in modo perenne la comunità umana, le sue radici culturali, la sua storia, la sua economia, il suo futuro.

Vorremmo sottoporre alla città, all’ill.mo sig. Sindaco, alla giunta amministrativa, al consiglio comunale, il nostro punto di vista a riguardo, affinché si avvii un percorso di discussione e confronto, che coinvolga tutta la comunità locale, gli organi istituzionali e tutte quelle personalità che possono offrire punti di vista e competenze a beneficio del territorio.

Molto sinteticamente, riteniamo sia necessario, urgente e non più rinviabile affrontare il problema tenendo conto di tre punti cardini, tre colonne portanti sulle quali fondare la realizzazione di opere che inevitabilmente impatteranno con il nostro territorio: 1) rispetto dell’ambiente; 2) utilità delle opere al netto del rapporto costi/benefici per il territorio; 3) materiali e metodi di realizzazione.

Queste opere, da quella ritenuta più utile a quella per la quale molti vorrebbero fare a meno per le ragioni diverse (comprese quelle di natura ideologica), avranno il loro impatto con l’ambiente. E’ necessario quindi considerare le conseguenze idrogeologiche (deflusso delle acque pluviali), e agronomiche (erosione della biodiversità), il consumo di suolo e le conseguenti ricadute economiche e sociali.

In genere quando si parla di realizzazione di impianti, che siano sportivi, commerciali, nonché edifici destinati ad uso sanitario e/o abitativo pubblico e/o privato, non si può non pensare ai metri cubi di cemento armato che saranno utilizzati, ma anche a tutte quelle aziende, maestranze e manovalanze (e relative famiglie) del territorio, le quali potrebbero trarre vantaggio immediato o nocumento nel lungo termine, dalla realizzazione di queste opere.

Riteniamo che tutte le opere che presto interesseranno il nostro territorio, a seconda di come e dove saranno realizzate (metodi, appalti, tecnologie e materiali), potrebbero rappresentare l’opportunità di grandi benefici per il territorio stesso, una iattura o la combinazione di entrambe. E’ necessario, a tal proposito, che alle procedure di realizzazione, ai processi di programmazione, realizzazione e monitoraggio delle opere stesse, i portatori di interessi (la cittadinanza, più o meno organizzata), partecipino attivamente.

Cosa accadrà, ad esempio, a valle della realizzazione del nuovo ospedale e dell’outlet una volta realizzati? Non vorremmo trovarci difronte al ripetersi di quanto è accaduto, e in buona parte ancora accade, da Montalbano fino a valle in località Tavernese. Qui, nonostante nell’ultimo decennio sia intervenuta la realizzazione del canale di regimentazione delle acque che arriva fino a mare, e per il quale sono stati alterati e consumati decine di chilometri di territorio, fino alla ferita inferta alla duna fossile, il problema delle alluvioni non è stato del tutto risolto. Le condizioni attuale del canale, in cui si riversano rifiuti di ogni sorta, come ampiamente decumentabile e documentato, sono a dir poco vergognose.

Riteniamo siano necessari, una riflessione e un confronto pubblico, diffuso e condiviso con la cittadinanza, per addivenire alla ragione di un paradigma comune, un approccio cosciente e consapevole, riguardo le scelte della politica in tema di infrastrutture, poiché, come è evidente queste impattano spesso negativamente, tanto con l’ambiente, quanto con la comunità.

Giuseppe Vinci – Terra d’Egnazia (Onlus)

Cura dell’olivo

04 venerdì Nov 2016

Posted by terradegnazia in Ambiente, Territorio

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Agricoltura, Cura, Fasano, olivicoltura, Olivo

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Olivo millenario, Fasano – Foto: Giuseppe Vinci

Buone prassi per la cura del patrimonio olivicolo
Azioni adottate e sostenute dalla nostra associazione per la cura e la salvaguardia del patrimonio olivicolo della Piana degli Olivi della Terra d’Egnazia. L’associazione Terra d’Egnazia (onlus), si fa promotrice delle antiche e tradizionali prassi agro-colturali tramandate nei secoli dalla paziente saggezza dei nostri avi. La prima raccomandazione è l’eliminazione di qualunque ricorso alla chimica, a cominciare da ogni sorta di pesticidi. Così come la chimica uccide (in un primo momento) parassiti, patogeni e infestanti (che col tempo acquisiscono resistenza e virulenza), allo stesso modo la chimica uccide (in questo caso definitivamente), ogni forma di vita nel terreno (rizosfera), compresi quegli organismi e microrganismi utili e necessari al sostentamento delle colture e all’equilibrio naturale dell’ambiente.

Primi interventi 

Potatura

– E’ necessario effettuare la potatura/rimozione di tutti i rami secchi in corrispondenza del punto di ramificazione facendo attenzione che la superficie di taglio sia rivolta verso il basso (questo impedisce i ristagni d’acqua piovana e quindi il proliferare sulla superficie di taglio di microrganismi potenzialmente patogeni). E’ importante non effettuare potature drastiche di rami di grosso diametro o branche principali (a meno che non siano secchi), perché questo porta la pianta a emettere un gran numero di polloni, disperdendo le poche risorse energetiche che l’olivo ha in questo particolare momento e inoltre le grosse ferite stentano a rimarginare.

– La potatura interessa anche i succhioni (ad eccezione di quelli che dovevano sostituire alcune parti essenziali della pianta) e i polloni alla base della pianta; inoltre la chioma va sfoltita eliminando i rami in eccesso, questa operazione permette di arieggiare bene la chioma e consente ai raggi solari di raggiungere tutti i rami e le foglie più interne.

– E’ importante usare attrezzi con lame ben affilate, in modo tale da lasciare un superficie liscia e netta, che favorisce il processo di cicatrizzazione, diminuendo così la probabilità di ingresso di eventuali microrganismi patogeni. Le lame vanno disinfettate con candeggina, per impedire di trasferire eventuali patogeni fungini e batterici (es. Pseudomonas savastanoi pv savastanoi agente della rogna dell’olivo, funghi tracheifili) da una pianta all’altra.

– In presenza di sezioni di taglio con diametro maggiore di 5 centimetri, queste vanno disinfettate con una pasta a base di rame e calce. Le dosi per la preparazione di 10 litri di pasta disinfettante sono: 3 kg di grassello di calce + 1 kg di solfato di rame in 10 litri di acqua. Con l’aiuto di un pennello la pasta ottenuta viene distribuita sulle superfici di taglio. Sia il rame che la calce posseggono una buona attività fungicida e fungistatica, inoltre il rame ha spiccate proprietà antibatteriche. Per la protezione delle ferite da taglio possono essere utilizzati anche paste a base di rame, cera o mastici per gli innesti.

– I residui di potatura vanno bruciati per eliminare uova e larve di insetti parassiti molto presenti sulle piante interessate dal disseccamento.

Trattamenti alla pianta

– Sia la chioma che il tronco delle piante di olivo devono essere irrorate con poltiglia bordolese per 2 o 3 volte a distanza di 20 – 30 giorni (a seconda della piovosità che può dilavare il prodotto dalla superficie della pianta).

– Dosi per 100 litri di poltiglia bordolese: 1 kg di solfato di rame (quello con maggiore capacità di penetrazione è il solfato di rame pentaidrato) + 1 kg grassello di calce, in 100 litri d’acqua.

– Preparare la soluzione versando molto lentamente 20 litri di soluzione di calce in 80 litri di soluzione di solfato di rame.

– In primavera, cioè durante la ripresa vegetativa dell’olivo, il colletto, i tronchi e le branche principali, bisogna trattarli con una miscela di solfato ferroso e grassello di calce le cui dosi per 100 litri di acqua sono: 2 kg di solfato ferroso + 2 kg di grassello di calce (idrossido di calce con 80/100 giorni di stagionatura). Il solfato ferroso ha un triplice scopo: 1) nutrire il legno attivo sotto la corteccia (riduzione della clorosi ferrica); 2) favorire un riequilibrio fra i microrganismi epifitici presenti sulla corteccia dei tronchi (aumentando la presenza di quelli che sono competitori e antagonisti dei patogeni; 3) battericida nei confronti della rogna.

Trattamenti al terreno

– Il terreno sottostante la chioma e la base della pianta vanno cosparsi con zolfo e calce in polvere (dosi: ¾ di zolfo + ¼ di calce) miscelati e successivamente interrati con una leggera e superficiale lavorazione. Lo zolfo in polvere ha la funzione di disinfettare il terreno, grazie alla sua attività fungicida e insetticida (es. punteruolo e oziorrinco) inoltre è un elemento nutritivo essenziale nella sintesi di importanti proteine della pianta che contengono residui aminoacidici soprattutto di cisteina (es. “defensive protein”, glutatione e altre molecole antiossidanti). Queste proteine svolgono un ruolo importante nell’autodifesa della pianta.

– Sovescio
Si effettua la semina di favino su tutto il campo ad eccezione della zona sottostante la chioma delle piante, ovvero nell’area dell’apparato radicale. In fase di fioritura le piante di favino sono state trinciate e interrate lavorando superficialmente il terreno. La pratica del sovescio presenta diversi benefici tra i quali:
1) Apporta una buona quantità di sostanza organica e quindi migliora la fertilità del terreno;
2) Apporta buone quantità di azoto e fosforo;
3) Rallenta i fenomeni erosivi del terreno grazie alla presenza degli apparati radicali delle piante da sovescio e mediante la copertura del suolo;
4) Migliora la struttura del terreno rendendolo più sciolto soprattutto in superficie, consentendo una migliore ossigenazione degli apparati radicali delle piante d’olivo;
5) Riduce la compattezza superficiale del terreno, migliorandone così il drenaggio e lo scambio gassoso.
6) Riduce notevolmente la presenza di piante infestanti, grazie alla competizione per i nutrienti e per la superficie disponibile di terreno;
7) Biofumigazione nei confronti di funghi, batteri, insetti e nematodi patogeni;
8) Aumenta la biocenosi microbica tellurica utile, spostando l’equilibrio verso popolazioni microbiche competitive come Bacillus sp., Pseudomonadi fluorescenti, Streptomiceti, Fusarium sp., Trichoderma sp.;
9) Sottrae considerevoli quantità di CO2 dall’atmosfera immagazzinandola nel terreno (azione carbon sink).

Calendario per le esecuzioni dei lavori

Dicembre-Marzo
– Potature di tutte le parti secche della pianta, con immediata protezione delle sezioni di taglio seguendo i metodi e i materiali su descritti nella sezione “Potature”.
– Effettuare la slupatura e successiva protezione delle ferite con gli stessi prodotti utilizzati per proteggere i tagli delle potature.
– Trattamento della chioma, del tronco e dei rami con la poltiglia bordolese (vedi sezione “Trattamenti alla pianta”

Marzo-Maggio
– Sovescio del favino in fase di fioritura.
– Trattamento del colletto, tronchi e branche principali con la miscela di solfato ferroso e grassello di calce (prima o dopo la fioritura, NO durante).
– Cospargere sul terreno sottostante la chioma e la base della pianta zolfo e calce in polvere.

Giugno-Luglio
– Sfalciare l’erba e lasciarla in loco per ottenere l’effetto pacciamante.

Settembre
– Erpicatura leggera del terreno per consentirne l’arieggiamento.
– Potatura dei succhioni e dei polloni.
– Rincalzatura del colletto.
– Trattamento del tronco e delle branche principali con zolfo bagnabile, MAI insieme alla poltiglia bordolese.
Ottobre-Novembre
– Trattamento con la poltiglia bordolese subito dopo la raccolta.
– Semina di favino (meglio se una varietà locale) per l’inerbimento e successivo sovescio.

Riflessione

Con la “rivoluzione” verde dell’agrochimica arrivarono gli insetticidi ed erbicidi e concimi chimico minerali NPK azoto-fosforo-potassio che hanno causato la distruzione della flora batterica, (gli anticorpi della terra) e diminuito, quasi azzerato la sostanza organica.
Risultati? Arricchiamo le multinazionali dell’agrochimica,Monsanto, Bayer, DuPont, Syngenta, Dow Agroscience e impoveriamo i nostri Agricoltori e la nostra Terra.
Le stesse multinazionali che producono farmaci e agrofarmaci, prima ti avvelenano poi ti “curano”.

P.S.: le indicazioni di cura sopra descritte sono state condivise dall’Associazione Spazi Popolari quali azioni utili al contenimento del fenomeno del disseccamento degli olivi del Salento.

L’olivicoltura tradizionale è in crisi?

11 martedì Ott 2016

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Biodiversità, CoDiRO, Intensivo, olivicoltura, Olivo, Puglia, Xylella

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Brevi considerazioni sul dibattito tra olivicoltura intensiva e tradizionale. Uno scontro ideologico.

Stando alle opinioni di non pochi “esperti” di olivicoltura (chi gli avrà mai dato questo attributo?), le cultivar di olivo “troppo” antiche, come quelle presenti in buona parte del territorio pugliese, non risultano essere adatte alla “competizione internazionale”.

Se non fosse chiaro, “nutrire”, perché olive e olio servono innanzitutto a nutrire, si riduce a mera competizione. Come dire che, per vivere, le società umane devono competere tra di loro piuttosto che cooperare.

Il liberismo ha snaturato il pianeta Terra, compreso il genere umano. Anzi, se proprio devo dirla tutta, il genere umano, con il liberismo, con questo liberismo in cui le regole (anche quelle sociali, costumi e mode comprese), sono demandate ai mercati, ha fatto della vita (bios), una competizione. E’ sotto gli occhi di tutti che, questo competere, nelle società più evolute ed emancipate (non si sa poi rispetto a cosa), si sostituisce alle guerre armate. La competizione si sostituisce alla guerra, la sussume. E’ così che i danni collaterali di questa nuova modalità di fare la guerra, che si combatte sul piano economico e finanziario, è in grado di spalmare e frammentare nello spazio tempo, distruzione e morte, tanto da non farle apparire come una conseguenza delle bombe. Eppure, lo smantellamento dello stato sociale, la crescente disoccupazione, l’incontenibile declino economico, non sono altro che veri e propri bollettini di guerra.

Siamo chiaramente in presenza dell’ennesimo dogma liberista, senza alcun fondamento logico, razionale, neppure ragionevole, piuttosto impositivo, arrogante, violento, come sa fare l’essere per la guerra.

Ma torniamo all’olivicoltura. Come si risolve questo problema atavico della troppo antica olivicoltura a quanto sembra non al passo con i tempi? Secondo la propaganda del regime liberista (che vede attivamente partecipi non pochi politici locali, regionali e nazionali, compresi illustri rappresentanti in seno alla UE – dovremmo chiamarli lobbisti, visto che non sono stati eletti dal popolo ma nominati dai partiti! – dirigenti, associazioni di categoria, ricercatori pubblici – pagati dallo Stato con denaro pubblico! – in pieno conflitto d’interesse, e naturalmente imprese), bisognerebbe cancellare da un giorno all’altro, proprio come fa la guerra, interi paesaggi per ridisegnarli, mettendo a repentaglio equilibri agro-ambientali già resi fragili, precari da pratiche agricole e industriali scellerate, criminali.

Il mantra è quello dell’olivicoltura super intensiva a base di varietà moderne, resistenti ai patogeni (l’avvento del batterio Xylella Fastidiosa sembra quanto mai tempestivo) e alle asperità ambientali, maggiormente produttive e remunerative, più comode da gestire, da sostituire e reimpiantare ogni vent’anni, insomma alla moda, al passo coi tempi. Siamo già in pieno regime di varietà incrociate, varietà clonali micropropagate e nel frattempo si prelude agli Ogm che però necessitano del continuo supporto della chimica, innescando un meccanismo perverso di continua dipendenza dagli agrofarmaci di sintesi e quindi dalle multinazionali. Un chiarimento in tal senso lo offre il prof. Pietro Perrino (già direttore dell’Istituto del Germoplasma CNR Bari).

“A tal proposito l’idea di sostituire le varietà suscettibili (per es. l’Ogliarola) con quelle resistenti/tolleranti (per es. il Leccino) sarebbe una follia, per il semplice motivo che nel tempo i patogeni possono specializzarsi nel mettere a punto nuovi meccanismi di attacco e quindi le varietà resistenti/tolleranti possono diventare suscettibili. E saremmo punto ed a capo. Quello che impedisce ai patogeni di diventare virulenti è proprio la biodiversità. La mole di dati esistenti in letteratura è sufficiente a confermarlo. Sulla base di questo semplice principio, l’unica arma vera contro i patogeni e la loro diffusione è la coltivazione di più varietà nello stesso campo”.

E dunque, si vorrebbe fare piazza pulita della piccola proprietà fondiaria, dell’attuale sistema olivicolo, di intere economie famigliari, di un sistema sociale e culturale che ha radici antiche, secolari, millenarie, che caratterizza le identità di interi territori e popolazioni, le quali, pur essendo antiche nell’essenza, non hanno mai disdegnato di vivere nel tempo corrente. Salvo che per coloro – e purtroppo non sono pochi – il quali in questo momento di transizione epocale, cadono come in coma, rapiti dagli inganni delle chimere liberiste, tanto da convincersi del fatto che “la guerra fa bene all’amore”.

A rischio è anche e soprattutto l’agro-biodiversità, anche in ambito olivicolo. A riguardo vale la pena di soffermarsi ancora una volta sulle parole del Prof. Pietro Perrino il quale evidenzia: “perché insistere con la monocoltura e l’agricoltura intensiva? Se il motivo è di essere più competitivi con altri Paesi, la risposta è che oggi ci troviamo in una situazione disastrosa, sotto molti punti di vista, proprio per colpa di politiche basate sulla competizione invece che sulla cooperazione e sulla qualità delle produzioni più che sulle quantità. L’umanità non ha bisogno di quantità, ma di qualità”.

Ora, se è vero che le cultivar esistenti sono più di 500, le stesse si trovano differenziate da territorio a territorio non a caso. Le antiche cultivar (perché ce ne sono di moderne?! ah già, negli ultimi mesi abbiamo sentito parlare della munifica varietà “lecciana”, frutto dell’incrocio tra leccino e arbesana), hanno caratterizzato i paesaggi e quindi le culture e le economie di base. Nei secoli, nei millenni, cultivar come le frantoio pugliesi (oliarola, cellina, cima, ecc.) hanno avuto il tempo “lento” e necessario, anche sotto il profilo della genotipizzazione, di adattarsi ai diversi ambienti, sviluppando quelle caratteristiche spesso uniche che, rispetto ai luoghi e nei “tempi”, andrebbero meglio e adeguatamente qualificate, a partire dai metodi colturali (corretta conduzione dell’oliveto, raccolta, molitura, confezionamento e vendita) facendone veri e propri punti di forza. Si tratta dunque di visione e volontà, di quello che vogliamo per il nostro futuro.

Come dire: questo siamo noi, il nostro essere al di là dei tempi, con le nostre qualità e caratteristiche, e non altro. Quell’essere che per affermare la propria esistenza ed essenza, non ha bisogno di partecipare a nuovi scontri di civiltà, a nuovi massacri, allo stravolgimento dei territori, delle economie di base, delle radici, anche culturali, di combattere un nemico voluto da un’entità invisibile, di partecipare a una competizione nella quale non ci sono vincitori ma ci sono solo vinti: gli uomini, la terra, la vita (bios).

Storie di calce. Tecnologie della tradizione stupidamente dimenticate… o quasi.

26 lunedì Gen 2015

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di Giambattista GiannoccaroINCALCINATORE

Ricordo che, da bambino, quando era alle porte la “stagione”, (era chiamato così da mio nonno il periodo che va da maggio a fine ottobre) dalle mie parti era tempo di rinfrescare a calce le pareti delle “casine” di campagna, prima di ricolonizzarle, dopo l’abbandono invernale, in quella transumanza umana che ci vedeva spostare le nostre dimore dalla città alla “villeggiatura”. Stessa pratica si svolgeva in buona parte dei borghi antichi di questa parte di Puglia messapica. Mio nonno, tutti gli anni chiamava tutti i suoi nipoti più volenterosi per partecipare a quello che era un vero e proprio rito dell’apertura della stagione estiva per andare alla casina in collina ad aiutare Jujuccio, si chiamava così l’incalcinatore che tutti gli anni, armato soltanto di secchi e pennellesse ci incantava con la sua maestria.

Ognuno aveva un compito ben preciso: chi era addetto a tirar su l’acqua dal pozzo, a mano, con un secchiello di ferro zincato legato ad una corda di canapa, bisognava riempire il grande tino; chi invece era incaricato a scaricare dalla macchina del nonno(una Simca color carta da zucchero con il mitico cagnolino di plastica e collo snodato che si muove con l’auto in movimento) quelle che per noi allora erano delle pietre magiche, per riporle nello stesso tino. La prima volta che vidi immergere quelle pietre in acqua in quel grosso tino, l’ingenuità dei miei 8 anni mi suggerì che volessero cucinarle. Chi avrebbe mai pensato che, di li a poco, dentro quella tinozza si sarebbe scatenato veramente un ribollire subito dopo averle immerse in acqua. Senza saperlo, noi bambini, stavamo partecipando alla produzione di calce, “spegnendo” quelle pietre, che in realtà erano ormai blocchi di calce viva provenienti da quelle “calcare” sparse tra le colline e la piana degli ulivi millenari della Terra d’Egnazia.

Trullo antico

La calce, ottenuta per cottura a temperatura elevata di rocce calcaree, è costituita fondamentalmente da carbonato di calcio. Deve la sua popolarità non solo al facile reperimento e autoproduzione in situ, ma anche alle sue doti di disinfettante (è alcalina), oltre che al suo color bianco latte riflettente i raggi del sole delle calure estive facendolo diventare il materiale più usato nel mediterraneo. 

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Già i Romani, ed i Fenici prima, avevano imparato ad usare la calce come materiale da costruzione, mescolata con la sabbia a formare la malta. Inizialmente adoperata nella forma di calce aerea (che indurisce solo se a contatto con aria) venne successivamente mischiata con pezzi di argilla cotta (vasellame, mattoni ecc.) oppure a pozzolana, una sabbia ricca di silice, che ne alterano le caratteristiche di resistenza, impermeabilità e soprattutto ne consentono la presa anche in ambienti non a contatto con aria (tipicamente sott’acqua), dando vita così le malte idrauliche, sebbene a base di calce aerea. Vitruvio, nella sua opera, De architectura, ne descrive la produzione a partire da pietre bianche, cotte in appositi forni dove perdono peso (oggi sappiamo in conseguenza della liberazione di anidride carbonica). Il materiale ottenuto, la calce viva, era poi  spenta gettandola in apposite vasche piene di acqua. Intervenendo su antiche case rurali della Puglia non ancora contaminate da intonaci a base cemento è ancora possibile scorgere le decine di strati di scialbo di calce sovrapposti che stratificano quelle antiche pareti, tanto che in alcuni casi è possibile poter datare, quasi puntualmente, l’età di quel paramento murario.

intonaco e paglia

La malta con cui erano legate le pietre o i tufi con cui venivano costruiti gli antichi manufatti pugliesi (Trulli, Masserie, ecc) era costituita da calce spenta (idrata) sabbia o terra, con l’aggiunta di paglia o altri vegetali, come rametti e foglie d’ulivo che completavano la finitura di protezione (intonaco) di quelle strutture. Questa tecnologia permetteva alle strutture di avere un comportamento elastico, dovuto proprio alla sua macroporosità e conseguente traspirabilità, (ciò che non permettono invece i premiscelati a base cemento in uso oggi)  con l’umidità invernale si dilatano (micro movimenti) e con la stagione estiva si restringono. Questa caratteristica restituisce alle strutture una sorprendente “personalità” data anche dalla plasticità che fa di quegli ambienti dei luoghi avvolgenti e freschi. Non un accenno di efflorescenze di muffe, non un’alone di umidità, tutto per i poteri intrinseci della calce che “disinfetta” e fa “respirare” i muri. Pratiche scioccamente dimenticate a causa della ennesima stupidità umana alla ricerca di una certa innovazione. Non possiamo più permettere che una tecnologia così interessante, ereditata dalla tradizione, maturata attraverso l’esperienza della storia, venga messa da parte a favore di tecniche e materiali più convenienti al modello di sviluppo contemporaneo. E’ anche per questo che dobbiamo rimettere in discussione il modello di sviluppo contemporaneo. Quel che produciamo non collima più con quel che più ci piace o che funziona ma con quel che più fa guadagnare, e non sono per niente certo che ci abbiamo guadagnato.

 

Area ex Cementeria Monopoli – Considerazioni del Coordinamento Cittadino delle Associazioni, dei Comitati, dei Movimenti ed esponenti di Forze politiche di opposizione sulla convocazione del 21 ottobre 2014 della I Commissione Consiliare Urbanistica

15 sabato Nov 2014

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Pubblichiamo il documento redatto, con considerazioni dal Coordinamento Cittadino delle Associazioni, dei Comitati, dei Movimenti ed esponenti di Forze politiche di opposizione, di cui Terra d’Egnazia è parte attiva, a proposito della convocazione dell’ultima convocazione della I Commissione Consiliare Urbanistica – Area ex Cementeria

Al Presidente della I Commissione Consiliare Urbanistica
avv. Giacomo Piepoli

e p.c.:
Al SINDACO del COMUNE di MONOPOLI
ing. Emilio Romani
All’Assessore all’Urbanistica del COMUNE di MONOPOLI
avv. Stefano Lacatena
All’Assessore all’Assetto del Territorio della Regione Puglia
arch. Angela Barbanente
Oggetto: Incontro Prima Commissione Consiliare Urbanistica aperta del 21 ottobre 2014. Considerazioni.

Con la presente il Coordinamento fa il punto sui lavori del Tavolo aperto ed esprime le sue considerazioni in merito al prosieguo dello stesso.
Sono ormai 11 mesi che continuiamo a chiedere le stesse identiche cose e l’Amministrazione, attraverso i suoi referenti al tavolo, invece di rispondere alle domande, monotonamente ripete: “…bisogna andare avanti”, “…la cosa più importante è demolire al più presto l’esistente” e, incredibilmente, senza aver chiarito né criteri né dati tecnici, “…attendiamo proposte dai cittadini”.

La convocazione del 21 ottobre scorso, a distanza di ben 7 mesi dalla precedente, non ha apportato alcuna novità e non certo per latitanza delle realtà di Cittadinanza Attiva. Fin dall’inizio, infatti, il Coordinamento ha presentato a più riprese contributi e documenti (sia di indirizzo teorico critico metodologico sia di carattere tecnico operativo procedurale) con un invito costante: regole e tempi certi, alti standard qualitativi, ambientali e progettuali. Inoltre il Coordinamento è stato promotore, lo scorso 9 maggio, di un incontro pubblico “Area ex Cementeria. Chiarezza Qualità Partecipazione”, con la presenza di esperti e amministratori (locali e regionali). Dai contenuti emersi durante l’incontro è scaturito un Documento tecnico che, frutto del coinvolgimento di esperti in varie materie, dopo esser stato consegnato pubblicalmente durante il Consiglio Comunale del 4 agosto 2014, non ha ricevuto ancora alcuna risposta da parte dell’Amministrazione. Eravamo convinti che ciò sarebbe avvenuto almeno in occasione del recente incontro della I Commissione invece il testo, e le questioni in esso contenute, non erano state nemmeno lette da chi di dovere.

Il Sindaco, presente all’incontro, ha elargito pillole di saggezza, interpretando le recondite ragioni (a lui sconosciute perché assente) dell’architetto Renzo Piano nel rifiutare l’incarico offertogli, e ha condiviso visioni urbanistiche “lungimiranti”, ipotizzando lo spostamento di volumi, ancora non meglio precisati, dal porto alla periferia urbana e avanzando l’ipotesi di stravolgere il neonato Piano urbanistico con la modifica della destinazione del previsto porto turistico, a nord di quello attuale, in un futuristico porto commerciale d’importanza nazionale. In concreto, il primo Cittadino continua a essere il fautore del rapido abbattimento a tutti i costi senz’alcuna idea di futuro per quell’area (sollevando peraltro perplessità anche sulla legittimità procedurale dell’opera).

Non un dirigente presente, per rispondere alle domande o per raccogliere richieste di atti e documenti, non un segretario a registrare e verbalizzare adeguatamente l’incontro. Nella sostanza la chiara sensazione di un incontro istituzionale di serie “B”, convocato solo per poter adempiere obblighi legislativi, senza alcun amore né attenzione alla partecipazione dei cittadini. Anche gli inviti, scarni e passivamente collegati solo a chi nei mesi ha tenuto duro, confermando di volta in volta la volontà di continuare a partecipare, evidenziano l’assoluto disinteresse per un autentico percorso di pianificazione partecipata.

La SoleMare, neo proprietaria dell’ex area Italcementi, unica in grado di rispondere sulla ripresa dei lavori di “demolizione” (guai a chiamarli di “bonifica”), sulle centraline di monitoraggio (spostate altrove nel momento in cui erano più necessarie), sulle ragioni della rinuncia all’incarico da parte di Renzo Piano (avendo la Società, da sola, curato i contatti con lo studio dell’architetto), neanche a dirlo era assente.

Un breve riepilogo. A metà dicembre 2013, le prime richieste, subito dopo la mobilitazione affinché non si permettesse alla General Smontaggi, ditta specializzata nella bonifica di zone industriali dismesse, di abbandonare il cantiere, sono state il monitoraggio degli agenti inquinanti presenti e la caratterizzazione di manufatti e terreni, in parte, ancora oggi, inevase.
Contemporaneamente era stata sollevata la questione della poca chiarezza sulle regole e sulla loro interpretazione, elementi fondamentali per passare alla fase operativa vera e propria.
Nel frattempo il Coordinamento aveva suggerito il coinvolgimento di un architetto di chiara fama, esperto sul tema della riqualificazione di un’area portuale e capace di valorizzare con tale intervento progettuale il water-front urbano e l’immagine complessiva della città, garantendo una progettazione di altissima qualità. Era stato avanzato il nome dell’architetto Renzo Piano di Genova, condiviso da tutti ma successivamente contattato dalla sola Proprietà privata, senza alcuna rappresentanza istituzionale e politica della comunità cittadina. Inoltre si chiedeva che la Commissione Urbanistica aperta esprimesse una sua rappresentanza, con competenze professionali specifiche, che presenziasse al tavolo tecnico, sul quale l’Amministrazione comunale e i tecnici dei Privati coinvolti, avrebbero affiancato il lavoro del progettista incaricato.
Infine il Coordinamento aveva sollecitato l’attivazione di processi partecipativi di pianificazione con l’ausilio di un facilitatore esperto o di un tecnico di garanzia e, soprattutto, l’estensione della stessa pianificazione all’intera area portuale (contestualmente alla redazione del nuovo Piano Regolatore Generale del porto di Monopoli). Nulla di tutto ciò è stato fatto in questi lunghi mesi.

Nonostante il rigore delle considerazioni esposte nel documento tecnico consegnato in Consiglio Comunale lo scorso 4 agosto, in cui si evidenziavano le criticità degli argomenti sopramenzionati, quando, dopo 7 mesi, è stata finalmente convocata la I Commissione consiliare urbanistica aperta non viene affrontato nessuno dei problemi sollevati, anzi, non viene detto assolutamente niente di nuovo. Peggio. Da un lato si difende la scellerata scelta della Proprietà privata di aver fatto ripartire i lavori di demolizione in assenza della centralina di monitoraggio (installata dall’Arpa all’inizio dell’estate e spostata qualche settimana fa a Gravina in Puglia per necessità di servizio). Si rifiuta la richiesta del Coordinamento, dei Consiglieri comunali del NCD (Angela Pennetti e Giovanni Palmisano) e del Consigliere comunale di “Manisporche” (Angelo Papio) di sospendere i lavori in attesa della reinstallazione di una efficiente centralina di monitoraggio delle polveri.

Tanto premesso il Coordinamento Cittadino, al fine di poter proseguire nella partecipazione ai lavori della I Commissione urbanistica aperta chiede il rispetto delle seguenti condizioni:

1. Immediata sospensione dei lavori di demolizione nell’area SoleMare fino alla ricolloca-zione della centralina di monitoraggio (da 2 mesi i lavori sono ripresi senza alcun controllo).

2. Designazione di un Segretario che garantisca:

la puntuale verbalizzazione degli incontri, con successiva pubblicazione sul sito web istituzionale del Comune;

la necessaria estensione degli inviti, oltre alle realtà di cittadinanza attiva (il cui elenco sarà fornito qui in allegato), alle diverse proprietà private presenti nell’area in esame, all’Autorità Portuale del Levante, all’Ufficio Regionale del Demanio, alla Capitaneria di Porto, alla Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici, all’Ufficio della Dogana, alle Utenze portuali (Armatori, Cooperative di pescatori, Cantieri navali, Circoli sportivi, Circoli nautici), alle varie realtà imprenditoriali presenti nell’area (Concessionari di aree demaniali, Esercizi commerciali, Distributori di carburante), alle Associazioni di Categoria cittadine, alle Organizzazioni studentesche e sindacali;

la raccolta delle richieste emerse durante gli incontri e il conseguente reperimento dei documenti o, se necessario, il coinvolgimento diretto dei Dirigenti di competenza.

3. Nomina di un Facilitatore professionista che coadiuvi il percorso partecipativo almeno nella sua fase di avviamento secondo metodologie normate e sperimentate.

4. Costituzione di un Tavolo Tecnico, che dovrà affiancare il professionista incaricato della progettazione generale, al quale sia presente, insieme a Comune, Utenze, Demanio, Autorità Portuale e Proprietari delle aree coinvolte, anche una Rappresentanza tecnica di tutte le altre realtà cittadine (Associazioni, Categorie lavoro, Studenti, Sindacati) presenti nella I Commissione consiliare urbanistica aperta.

Monopoli, 12 novembre 2014

Il Coordinamento Cittadino
delle Associazioni, dei Comitati, dei Movimenti
ed esponenti di Forze politiche di opposizione

segreteria operativa: antonio amodio – aman1410@live.it – tel. 3887402076

Di seguito i link del documento in tre parti, relativo alla manifestazione del 9 maggio 2014

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https://terradegnazia.wordpress.com/2014/05/21/monopoli-area-ex-cementeria-i-parte/

https://terradegnazia.wordpress.com/2014/05/

https://terradegnazia.wordpress.com/2014/06/

Monopoli – Area ex Cementeria – II Parte

30 venerdì Mag 2014

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Il documento redatto dal Coordinamento di Associazioni e Movimenti

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Lo spot della Regione Puglia sulla Rigenerazione Urbana

 

  • Di cosa parliamo quando parliamo di rigenerazione urbana 

La rigenerazione, se è ben governata e se passa attraverso reali percorsi di partecipazione dei cittadini – come la Regione Puglia rende obbligatorio – può davvero rappresentare l’elemento che consente alle città di ripensare a se stesse insieme a tutti coloro che le popolano, le abitano, le vivono e vi lavorano.

La rigenerazione diventa quindi una reale opportunità per riparare ai danni del passato, per immaginare il futuro salvaguardando il patrimonio storico, culturale e ambientale, per creare lavoro e avanzamento sociale.


Naturalmente, come sottolineava la professoressa Barbanente nel passo citato in precedenza, avere a disposizione degli importanti strumenti di legge non è di per sé sufficiente:

occorre volerli adoperare per il bene comune ed è necessario che le amministrazioni locali e i cittadini si impegnino seriamente per intraprendere questi percorsi.

E’ quindi condizione essenziale che tra operatori, professionisti, cittadini e rappresentanti politici si sviluppi seriamente una vera cultura della città.

Ancora una volta torniamo al tema della partecipazione:se, come abbiamo visto, la partecipazione è un’esigenza largamente sentita, che traspare dalla trama della Costituzione e viene sancita in modo ancor più visibile dall’articolo 118 del riformato Titolo V, diviene ora elemento imprescindibile fissato dalla normativa regionale.

Nel sintetico documento che accompagna il breve video istituzionale della Regione Puglia :

“(…) La legge e i programmi regionali pongono enfasi su alcuni requisiti che devono caratterizzare i processi di rigenerazione ai fini dell’efficacia degli stessi:

la partecipazione sociale, perché gli abitanti, in quanto profondi conoscitori dei propri ambienti di vita, di lavoro e di ricreazione, svolgano un ruolo attivo nella loro rigenerazione, valorizzando le qualità peculiari dei luoghi, contribuendo con le proprie competenze alla redazione dei progetti e poi prendendosi cura degli spazi riqualificati (…)”


Il tema della rigenerazione urbana e le sue opportunità sono ben sintetizzati dal succitato documento che recita:


“Il concetto di rigenerazione è legato a strategie messe a punto dai governi locali per affrontare le situazioni di crisi della città contemporanea mediante interventi non solo di riqualificazione fisica (urbanistica ed edilizia) ma anche di rinascita culturale, sviluppo economico e inclusione sociale. In Puglia il governo regionale si è fatto promotore di iniziative volte a sollecitare gli enti locali a definire queste strategie, ritenendole presupposti essenziali per ripensare lo sviluppo in chiave sostenibile e durevole. La carica innovativa di questo approccio risiede, sul versante dell’urbanistica, nella volontà di creare una netta discontinuità rispetto a decenni di esclusivo interesse per l’espansione delle città, di progetti elaborati nel chiuso degli studi professionali e calati dall’alto in contesti noti solo superficialmente, di una pianificazione quantitativa e astratta, incapace di dare risposta a concreti bisogni e domande sociali; sul versante delle politiche di sviluppo, l’elemento più innovativo consiste nella centralità attribuita al territorio, inteso nel suo intreccio di risorse materiali e immateriali, che comprende anche la sfera sociale e culturale e le capacità dei soggetti di attivarsi e autorganizzarsi per la sua messa in valore.

Gli strumenti approvati dalla Regione per promuovere quest’idea di rigenerazione e per affermarne l’approccio e i contenuti a livello locale sono tanti e fra loro complementari: normativi, d’indirizzo, finanziari (…)”.

E ancora:

“(…) Obiettivo della Regione è trasformare la riqualificazione urbana da evento straordinario ad attività ordinaria, da azione occasionale a pratica diffusa a livello locale, da intervento episodico a visione strategica per la rigenerazione di parti di città e sistemi urbani (…)

Altri requisiti necessari, oltre alla partecipazione dei cittadini devono essere:

“(…)  l’integrazione degli interventi non solo fra operatori pubblici e privati, fra destinazioni residenziali, terziarie e di servizio, fra classi sociali, per favorire la mescolanza di funzioni e popolazioni urbane, ma anche fra dimensione fisica, sociale ed economica, per rompere il circolo vizioso fra degrado fisico e disagio sociale;

il risanamento ambientale mediante l’adozione di criteri di sostenibilità ambientale e risparmio energetico nella esecuzione delle opere edilizie, la previsione di infrastrutture ecologiche, il recupero di aree permeabili (…)

Come dice ancora la professoressa Barbanente (da “Speciale Urbanpromo”, allegato a “Giornale dell’Architettura”, inverno 2013): “(…) Le ragioni della rigenerazione sono diverse: dalla necessità di riqualificare parti di città che versano in condizioni di degrado e abbandono, al dovere di restituire un ambiente di vita dignitoso a famiglie che abitano in periferie recenti prive di infrastrutture e servizi, alla necessità di arrestare un dissennato consumo di suolo che, oltre che sottrarre una risorsa collettiva irriproducibile e produrre elevatissimi costi sociali ed economici per la collettività, non è stata in grado di dare adeguata risposta al disagio abitativo (…)”.

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A tali parole si collegano perfettamente quelle del Prof. Alberto Magnaghi, l’esimio urbanista, responsabile scientifico del Piano Paesaggistico Territoriale Regionale, il primo tentativo in Italia di dare una risposta complessiva e organica ai temi della tutela del patrimonio territoriale e del suo sviluppo sostenibile:

“In Puglia ho trovato un grande consumo di suolo e anche una enorme occupazione edilizia, con molto abusivismo sulle coste, e con periferie caratterizzate da bassa qualità costruttiva e disordine urbanistico. A questa visione si oppone, tuttavia, un patrimonio paesaggistico straordinario che rischia di essere trattato molto male, in nome di un’idea di sviluppo distorta che può magari dare benefici economici nell’immediato, ma annientare completamente le ricchezze del territorio.Si prenda il caso delle coste: finora le linee di intervento, sia abusive che legali, sono state quelle dell’occupazione attraverso infrastrutture – case, alberghi e villaggi – inseguendo una linea di tendenza che potrebbe trasformare dune, spiagge e scogliere in una sola colata di cemento. Il Piano, invece, tende a dare valore paesaggistico, ambientale e culturale alle città storiche sul mare e agli aspetti naturalistici, pure di un’ampia fascia dell’entroterra. Se vogliamo dire quali sono gli elementi caratterizzanti del Piano paesaggistico c’è da sottolineare che attraverso l’adozione di questo strumento la Puglia è la prima regione a licenziarlo in accordo con le regole del ministero per i Beni culturali e, per la prima volta, riguarda l’intero territorio regionale e questo prefigura pure un intervento attivo di valorizzazione e riqualificazione di paesaggi degradati, dalle periferie urbane alle zone industriali” (dall’intervista rilasciata a “La Repubblica Bari”, 20 settembre 2013).


 

  • Due grandi assenti quando si discute di interventi urbani: il consumo di suolo e il dissesto idrogeologico

Nelle loro dichiarazioni precedentemente riportate, sia Barbanente che Magnaghi, molto opportunamente, pongono l’accento sul grande, dissennato consumo di suolo, a cui è indispensabile porre un argine.

Questo non è un problema denunciato solo da alcuni gruppi ambientalisti “fondamentalisti”, ma un allarme che proviene ormai da molteplici e autorevoli voci. E’ un argomento che colpevolmente viene del tutto tralasciato quando si discute di interventi di trasformazione delle nostre città, sebbene la cronaca ce lo ricordi con cadenza settimanale, se non quotidiana.

Il livello di impermeabilizzazione del suolo, derivante da uno smodato consumo che non accenna a rallentare malgrado la crisi del settore edile, fa sì che bastino poche ore di pioggia per creare danni ingentissimi. Ultimo disastro, proprio delle scorse ore, a Senigallia, in una zona costiera che presenta caratteristiche molto simili a quelle del nostro territorio urbano e costiero.

I dati forniti dall’ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale del Ministero dell’Ambiente sono a dir poco impressionanti così come lo sono i numeri e le immagini di #dissestoitalia, la prima grande inchiesta multimediale sul dissesto idrogeologico (chi lo desidera lo trova nell’approfondimento di seguito).

Ormai non si contano più le voci autorevoli che ci ripetono come sia necessario intervenire subito, tanto con la messa in sicurezza quanto con la prevenzione: il che significa non aumentare, bensì ridurre l’impermeabilizzazione dei suoli, cioè il cemento, legale o abusivo.

Tra gli altri vale la pena di ricordare Franco Gabrielli, capo della Protezione Civile.

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Secondo quanto riferisce l’ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, sono stati ricoperti, negli ultimi 3 anni, altri 720 km2, 0,3 punti percentuali in più rispetto al 2009, un’area pari alla somma dei comuni di Milano, Firenze, Bologna, Napoli e Palermo. In termini assoluti, si è passati da poco più di 21.000 km2 del 2009 ai quasi 22.000 km2 del 2012, mentre in percentuale è ormai perso irreversibilmente il 7,3% del nostro territorio, procedendo ad una velocità di consumo di 8 metri quadri al secondo. La trasformazione del suolo agricolo in cemento non produce impatti solo sui cambiamenti climatici, ma anche sull’acqua e sulla capacità di produzione agricola. In questi 3 anni, tenendo presente che un suolo pienamente funzionante immagazzina acqua fino a 3.750 tonnellate per ettaro – circa 400 mm di precipitazioni – per via della conseguente impermeabilizzazione abbiamo perso una capacità di ritenzione pari a 270 milioni di tonnellate d’acqua che, non potendo infiltrarsi nel terreno, deve essere gestita. In base ad uno studio del Central Europe Programme, secondo il quale un ettaro di suolo consumato comporta una spesa di 6.500 euro (solo per la parte relativa al mantenimento e la pulizia di canali e fognature), il costo della gestione dell’acqua non infiltrata in Italia dal 2009 al 2012, è stato stimato intorno ai 500 milioni di Euro. Ancora, il consumo di suolo produce forti impatti anche sull’agricoltura e quindi sull’alimentazione.

Franco Gabrielli, capo della Protezione Civile, ha tentato di scuotere opinione pubblica, politici e amministratori con il suorichiamo, che ci pare ancora inascoltato (intervista rilasciata a Matteo Guidelli, Ansa, 10 febbraio 2014):
“Se il paese scegliesse di non fare nuove cose, ma di mettere in sicurezza quelle che ci sono, salvaguarderebbe quel patrimonio unico al mondo che sono il nostro territorio, le nostre comunità, i nostri abitanti e che, invece, in questa condizione di generale abbandono è messo in pericolo” e aggiunge: “Credo sia molto difficile riuscire in un paese diviso come il nostro, dove ognuno guarda al proprio particolare, ma dobbiamo provarci. Anche perché – risponde – abbiamo un grosso problema: abbiamo fatto in passato un uso smisurato del suolo e ora ne paghiamo le conseguenze. Si è costruito laddove non si doveva costruire e lo Stato, in molte occasioni, per far cassa ha condonato…Il problema dei problemi è proprio questo: noi parliamo e ci parliamo addosso. Queste cose le ho dette decine di volte e dunque o sono ripetitivo fino alla noia, oppure alle cose non si è dato seguito”.

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E l’allarme di Gabrielli non è certo eccessivo se stiamo semplicemente ai numeri:

anche secondo i dati raccolti in #dissestoitalia, la prima grande inchiesta multimediale sul dissesto idrogeologico, frane e alluvioni in Italia continuano ad aumentare: da poco più di 100 eventi l’anno tra il 2002 e il 2006 siamo gradualmente arrivati ai 351 del 2013 e ai 110 solo nei primi venti giorni del 2014 (data dell’ultima rilevazione). Negli ultimi 12 anni hanno perso la vita 328 persone. Nel gennaio 2014 in soli 23 giorni si sono registrati 110 episodi in tutto il territorio italiano. In poco più di 100 anni ce ne sono stati 12.600.

Secondo la Coldiretti, dal 1960 ad oggi, a causa delle frane e delle alluvioni, in Italia sono morte oltre 4mila persone. Fra il 1960 e il 2012, tutte le venti regioni italiane hanno subito eventi fatali. Si tratta di 541 inondazioni in 451 località di 388 comuni, che hanno causato 1.760 vittime (762 morti, 67 dispersi, 931 feriti), e 812 frane in 747 località di 536 Comuni con 5.368 vittime (3.413 morti compresi i 1.917 dell’evento del Vajont del 1963, 14 dispersi, 1.941 feriti).

Con i cambiamenti climatici, sottolinea sempre la Coldiretti, è sempre più urgente investire nella prevenzione. Eppure negli ultimi venti anni per ogni miliardo stanziato in prevenzione, spiega l’associazione, ne sono stati spesi oltre 2,5 per riparare i danni. Il ministero dell’Ambiente ha quantificato in circa 8,4 miliardi di euro i finanziamenti statali a politiche di prevenzione, mentre nello stesso periodo si sono spesi 22 miliardi di euro per riparare i danni causati da frane ed alluvioni.

L’ultima spiaggia….non sarà l’ultimo scoglio….

12 martedì Nov 2013

Posted by terradegnazia in Ambiente, Editoriale, Paesaggio, Territorio

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di Giambattista Giannoccaro

Appena conclusa la stagione estiva ritornano anche in Puglia, e nello specifico sulla costa monopolitano-fasanese, tutti i problemi connessi al rilascio di concessioni demaniali a scopo balneare. Si susseguono denunce e segnalazioni da parte di liberi cittadini, che negli ultimi mesi hanno dato vita a comitati di salvaguardia della costa, relative a chiusura del libero accesso alle spiagge di stabilimenti già esistenti e chiusure di accessi per nuove concessioni su calette dove invece dovrebbe essere vietato l’accesso, la balneazione e la navigazione per motivi di dissesto  idrogeologico.

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Porto Marzano Piccolo – Monopoli (Foto di Salviamo Porto Marzano Piccolo)
L’accesso alla scogliera e alla spiaggia è impedito da una cancellata.

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Porto Marzano Piccolo (Foto di Salviamo Porto Marzano Piccolo)
Divieto di Accesso, Balneazione e Navigazione per Dissesto Idro-Geologico
Il cartello installato all’inizio dell’estate 2013 ora è svanito nel nulla.

La prima segnalazione parte da un gruppo di cittadini monopolitani pronti a salvaguardare il libero accesso alla loro piccola spiaggia di Porto Marzano Piccolo, che una mattina di ottobre 2013 si sono visti impedire l’accesso alla spiaggia dai tempi dei nonni liberamente frequentata. Il problema riguarda comunque l’intera fascia costiera ma la notizia che  lascia sconcertati è che la spiaggia in questione, come risulta dal SID Mit (Sistema Informativo  Demanio marittimo) è già da diversi anni privata come è privata la scogliera circostante.

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Porto Marzano Piccolo – Estratto dal SID marittimo
Linea blu > Linea di costa
Linea rossa > Dividente demaniale
Area grigia > Proprietà privata
Area gialla > Proprietà demaniale

Tutti ci chiediamo come sia possibile che una zona di demanio marittimo possa essere nelle mani di privati e questo ci deve far riflettere quali siano i destini delle nostre spiagge nel caso il governo proceda con la vendita di detto patrimonio, per recuperare somme necessarie per ripianare i conti dello stato con l’ennesima manovra di stabilità, ma soprattutto dobbiamo riflettere su quanto sia da stupidi(?) vendere un patrimonio che in realtà potrebbe fruttare molto più se gestito in maniera più intelligente e trasparente..

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Mentre ci accingiamo a pubblicare questo articolo dai senatori del Pd arriva un emendamento ‘fotocopia’ di quelli del Pdl sulla vendita delle spiagge. (l’Haffington Post) La proposta di modifica all legge di stabilità, firmata da Granaiola, Tomaselli, Albano, Caleo, Fabbri, Favero Marcucci, Padua e Vattuone, è sostanzialmente identica a quella presentata dal Pdl se non nella parte relativa alla proroga delle concessioni che non prevede il diritto di prelazione legale. Ma c’è già una retromarcia “Ho ritirato la mia firma dall’emendamento della collega Manuela Granaiola sulla sdemanializzazione delle spiagge, in quanto ad un più approfondito esame tale ipotesi risulterebbe difficilmente applicabile su scala nazionale”. Lo rende noto il senatore Andrea Marcucci

“Le aree ricomprese tra la dividente demaniale e la linea di costa occupata da manufatti di qualsiasi genere connessi al suolo, stabilmente destinate ad attività di servizi con finalità turistico ricreativa, ivi comprese le aree occupate da strutture e attrezzature anche amovibili asservite alla medesima attività – si legge nel testo – sono individuate con atto ricognitivo-dirigenziale dalle agenzie del demanio e riconosciute non più appartenenti a demanio marittimo con decreto interministeriale emanato dal ministro dei Trasporti e della Navigazione di concerto con quello delle Finanze sentita la Regione e l’ente locale competenti”.

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Come chiede la Commissione Europea con la Direttiva Bolkestein, approvata all’unanimità all’epoca di Romano Prodi,  per la Concorrenza e il Mercato Interno, nel 2015 i permessi per gli stabilimenti “dovrebbero” essere riassegnati con gara di evidenza pubblica. La proposta si pone l’obiettivo di “eliminare gli ostacoli alla libertà di stabilimento dei prestatori negli Stati membri e alla libera circolazione dei servizi tra Stati membri nonché garantire ai destinatari e ai prestatori la certezza giuridica necessaria all’effettivo esercizio di queste due libertà fondamentali del trattato.”

La Commissione europea aveva aperto nel 2008 una procedura d’infrazione contro l’Italia per il suo sistema di rinnovo automatico delle concessioni, considerato un ostacolo al libero mercato. Il 13 maggio 2011, con Michela Vittoria Brambilla del Pdl ministro del Turismo, il governo aveva lanciato l’idea di un decreto che introduceva il cosiddetto “diritto di superficie” su coste e litorali per 90 anni, innescando un certo disappunto da parte di Bruxelles. Se i 90 anni non sono mai passati, l’articolo 11 della legge comunitaria adottata il 30 novembre 2011 ha consentito a Bruxelles di chiudere la procedura d’infrazione verso l’Italia eliminando il rinnovo automatico delle concessioni. Rinnovo automatico-proroga che, dunque, continua ad essere tirato fuori. Il risultato portato a casa è stato quello di ulteriori salatissime sanzioni.

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Oggi, prima che tutto ciò accada, l’Italia vorrebbe risolvere l’ennesimo papocchio in cui si è trovata, a causa del suo evidente malgoverno, di tanta malafede ed argomentazioni che non possono non far pensare che tutto ciò è orchestrato per soddisfare i soli interessi dei privati.

Da un articolo pubblicato su Il Fatto quotidiano online, blog di Fabio Balocco, 11 novembre 2013, relativo alla gestione dei beni demaniali da parte dello Stato, che “ è sempre più pronto a tagliare i servizi pubblici essenziali e sempre  più prono a soddisfare i desideri dei privati che prosperano sullo sfruttamento dei beni della collettività”.

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Secondo il WWF sui nostri litorali ci sono 12.000 stabilimenti balneari (erano 5.368 nel 2001, cioè meno della metà), uno ogni 350 metri, per un totale di almeno 18.000.000 metri quadri e 900 km occupati – ovvero quasi un quarto della costa idonea alla balneazione (lo sono 4.000 km sugli 8.000 km di coste italiane). Un giro di affari che interessa 30.000 aziende Un giro di affari con canoni spesso irrisori rispetto ai reali profitti delle strutture attuali, dove dall’affitto di sdraio e ombrelloni si è passati a vere e proprie ‘cittadelle permanenti’ di servizi commerciali, piscine, negozi, ecc,  favorito da un’applicazione normativa sulle aree demaniali che ha travalicato lo spirito della legge..

“Nel 2012 l’Agenzia del Demanio ha incassato 102,6 milioni di euro dagli imprenditori delle spiagge” continua Il Fatto Quotidiano, “in media, poco più di 3 mila euro a testa per stabilimenti che possono superare i 10 mila metri quadri e i 10 mila euro a testa di abbonamento stagionale, un inezia. Questo senza contare l’evasione fiscale relativa ai lauti guadagni. Guadagni che potrebbero essere addirittura un quintuplo dell’effettivo!.

Buona parte delle concessioni oggi sono state date senza gare ad evidenza pubblica e si rinnovano automaticamente alla scadenza. Chiaro che l’applicazione della “direttiva servizi” costituirà una bella svolta per il florido mercato delle concessioni marittime, e magari per i rapporti clientelari che intercorrono tra i gestori e le amministrazioni pubbliche. Però, se le spiagge prima del 2015 si vendessero, beh allora cambierebbe tutto. Povera, sempre più povera Italia.”

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E’ evidente l’ulteriore mala fede su cui si fondano le motivazioni di vendere il prezioso patrimonio pubblico, argomentando motivazioni di emergenza per mettere le mani su beni inalienabili e sempre a scapito della gente comune.

E’ evidente la necessità di regolamentare  la materia delle concessioni demaniali soprattutto la dove la peculiarità dei territori, come quelli pugliesi, dove le spiagge sono ridottissime e l’accessibilità non garantita a tutti a causa dell’inosservanza dell’abbattimento delle barriere architettoniche, non garantendo il libero accesso ai disabili,  agli anziani e alle famiglie con neonati.

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Pensiamo a gestirlo questo patrimonio. Probabilmente ne ricaveremo anche più di quanto si prospettano di ricavare i volponi che vogliono depredare l’ultimo angolo di spazio pubblico, l’ultima spiaggia … non sarà l’ultimo scoglio …

Ascolto il tuo Stomaco, Città

05 martedì Nov 2013

Posted by terradegnazia in Ambiente, Territorio, Urbanistica

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Carlo Petrini, Parco Agricolo Sud Milano, Random House, Robert Freudenberg

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Pubblichiamo con piacere questo articolo scritto e già pubblicato nel 2008 sul sito Mall, ma molto attuale ancora oggi a proposito del dibattito contro il consumo di suolo e per argomentare sulla necessità dell’istituzione di “Orti Sociali”, “Orti Urbani”, “Parchi Alimentari” e farsene una ragione, al di la di ogni ideologismo…. 

Solo quando l’ultimo fiume sarà prosciugato, 
solo quando l’ultimo albero sarà tagliato, 
solo quando l’ultimo animale sarà ucciso, 
solo allora capirai (uomo bianco) che il denaro non si mangia.

(Proverbio Indiano)

editing di Giambattista Giannoccaro

Sciopero selvaggio dei Tir e perversione del rapporto città/campagna. Una recensione a Plenty, Random House, 2007 e un articolo di Carlo Petrini da la Repubblica, 13 dicembre 2007

di Fabrizio Bottini

Fa benissimo, Carlo Petrini [vedi articolo riportato di seguito]a ricordare a botta calda, l’indomani dello “scampato pericolo” degli scaffali vuoti nei supermarket per via del blocco dei Tir, come una certa autarchia locale, quella che spesso si riflette nella cultura Slow Food o della ristorazione legata al territorio, avrebbe parecchio aiutato, e possa ancora aiutare, in questi casi.
Evoca giustamente, l’articolo di Petrini, immagini che ci sono ancora assai vicine di campagna italiana, piccoli produttori, prodotti di alta qualità, città che per quanto mostruosamente cresciute spesso mantengono ancora qualche contatto col proprio hinterland rurale, che rifornisce in parte anche ristoranti e mercati rionali.
Quello che forse il lettore di Petrini non coglie in pieno, però, è da un lato l’estrema modernità di questa lettura del rapporto fra città e campagna, dall’altro il fatto che si tratta di un affascinante nuovo campo di ricerca, sperimentazione, ambito di sviluppo socioeconomico.

I moltissimi firmatari dell’ Appello Parchi di eddyburg, hanno sicuramente colto al volo uno degli aspetti immediati di questo tentato colpo di mano, evidentemente dettato dalla cultura dei palazzinari: si trattava di un attentato all’ambiente e alla vivibilità, soprattutto metropolitana, visto che il primo obiettivo era il Parco Agricolo Sud Milano, dove da lustri grandi e piccoli operatori non vedono l’ora di “fruire” (è il temine usato dall’assessore comunale milanese Masseroli) di questi spazi lasciati inutilmente a cose poco produttive tipo erba, alberi, acque, animali …
Anche chi ha aderito all’appello, in maggioranza, non ha però forse colto l’aspetto, per niente secondario, di quell’aggettivo, “agricolo”, abituati come siamo a considerare questa attività, nel migliore dei casi, come una specie di zoo socioeconomico senza recinti, dove quella specie di panda col cappello che appare ai più il contadino si aggira svolgendo attività residuali. Insomma, il suo vero lavoro è di esistere, farsi fotografare dai bambini in gita scolastica insieme a galline e rotoballe, e al massimo come spiega anche l’autorevole Cpre britannica in un suo recente rapporto , garantire un’ottima manutenzione a prati, siepi, drenaggi, prevenire il dissesto ecc.

IMG_0666Un’agricoltura che sempre più, insegna la pianificazione territoriale, si deve invece legare strettamente ai modi di progettare la città moderna, non solo come versione aggiornata del grande parco urbano per andare in bicicletta o guardare un paio di vacche al pascolo, ma entrare a pieno titolo fra le attività economiche centrali e strategiche, assai più all’avanguardia che non i pensosi slanci plastici delle architetture griffate che spesso vorrebbero occuparne gli spazi, proprio in nome di una mal concepita idea di modernità (quando non in palese malafede come nel caso milanese citato). 
In un interessantissimo articolo pubblicato circa un anno fa, il direttore della rivista ufficiale della Regional Plan Associationdi New York, partiva da uno spuntino nella pausa di mezzogiorno per ricostruire un bozzetto di mondo affascinante: una mela comprata al farmer’s market nella zona di Times Square, che propone solo prodotti certificatamene regionali, serviva all’ampia cultura geografica, tecnica, socioeconomica dell’intellettuale per tentare un recupero del rapporto fra la grande metropoli e il suo territorio, per quasi due secoli (con l’eccezione del Central Park e poco altro) usato solo come piattaforma su cui avvitare grattacieli e edilizia minore residenziale, produttiva, commerciale.

Un modo assai interessante di raccontare da una prospettiva personale al tempo stesso insolita e molto familiare tutto ciò, è quello scelto da una coppia di giornalisti, Alisa Smith e James B. MacKinnon, che col loro Plenty (letteralmente:Abbondanza, Random House, 2007), descrivono un anno vissuto niente affatto pericolosamente, fra gioie, perplessità e scoperte, della “dieta delle cento miglia”. Ovvero, mangiare nulla che non sia coltivato entro un raggio di circa 150 chilometri da casa. La faccenda diventa piuttosto interessante quando si consideri che “casa” sta nel centro di Vancouver, Columbia Britannica canadese, città famosa per le sue politiche urbanistiche tese a limitare il consumo di suolo, vicina all’Oceano Pacifico, alle montagne, ma non esattamente un piccolo centro, né al centro di ubertose campagne, né in area che noi chiameremmo temperata, come si capisce immediatamente dalla carta geografica.
E come si capisce immediatamente sin dalle prime efficacissime, battute che la coppia dedica a una di quelle miracolose primavere del Nord, col fango e le ultime croste di neve che fanno spazio a un’inusitata esplosione di natura. Le prime verdure nell’orto, i germogli nei parchi, nei fossi, sui cigli dei terrapieni vicino alla superstrada … una ricchezza forse inusitata, ma che genera subito l’angosciosa domanda: tutto bellissimo e magari anche buonissimo, ma basta a garantire una dieta equilibrata, sali, zuccheri, proteine, vitamine ecc.?

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Ed è proprio questa laboriosa ricerca, fra gli equivalenti locali del mercato rionale italiano raccontato da Carlo Petrini, o delfarmer’s market di New York, le banchine del porto dove attraccano i pescatori, la fascia suburbana esterna dove qualche eccentrico sperimenta le colture più audaci, a raccontare il rapporto fra città e campagna in una prospettiva assai realistica da XXI secolo. Dove naturalmente si mescolano spazi, figure e anche prodotti che spesso non hanno nulla a che fare con la “tradizione”, ma che possono contribuire a costruirne una nuova, come le verdure cinesi per la miriade di piccoli esercizi, o qualche esperimento a mezza strada fra la pura stravaganza e la straordinaria innovazione. Ma emerge, per converso, anche qualcosa di terrificante quando si pensa agli ettolitri di gasolio bruciato ogni giorno, ogni minuto, per far convergere sulla città, attraverso i canali “tradizionali” della grande distribuzione organizzata, prodotti succedanei a quelli reperibili dietro l’angolo, facendoli invece spostare lungo la filiera degli infiniti e costosissimi (per il portafoglio e l’ambiente) passaggi e intermediazioni.
Ci sono anche motivazioni pratiche, dietro a questa neotradizione dello shopping mall. Ad esempio, di solito chi non sta ad esempio a Cuba, o per altri versi a Ferrara, inizia ad avere problemi per fare una cosa con cui quasi tutti iniziano le giornate: due cucchiaini di zucchero nel caffè. Alisa e James devono passare da subito al miele, scoprendo via via la rete dei produttori locali, il rapporto con le stagioni, le trasformazioni ambientali, l’urbanizzazione selvaggia che avanza.

E avanti così, con la voglia di pane che si trasforma in una caccia a improbabili coltivatori di grano nell’area metropolitana di un capoluogo del nord, con risvolti inquietanti dentro a silos abbandonati in balia dei ratti. O la necessità fisiologica del sale, forma antichissima di moneta, che nella città affacciata sul Pacifico diventa occasione per una sorta di matrimonio del mare, prelevando da una barca a remi una grande quantità d’acqua e facendola poi bollire fin quando compaiono quasi magicamente i cristalli bianchi.
Il tutto condito da scenette di vita familiare e amicale, di raccolta di more nella canicola estiva dei roveti sotto l’autostrada, di bisticci e bronci davanti al pentolone della conserva di pomodori per l’inverno. Parafrasando Alberto Savinio, verrebbe da dire “ascolto il tuo stomaco, città”. E dal punto di vista della cultura urbanistica, sociale, ambientale che questo pur “leggero” resoconto da Vancouver e dintorni evoca, emerge l’esigenza di superare una certa sedimentata prospettiva. Certamente quella della città che cresce a macchia d’olio, infinita, mastodontica, alimentandosi con tubi che risucchiano risorse da sempre più lontano, e scaricandosi più o meno addosso tutti gli scarti. Superare l’idea della città macchina, non solo quella degli architetti modernisti fatta di angoli retti, cemento, e idee tetragone, ma anche quella letteraria dei “ventri” ottocenteschi, che da Sue attraverso la Serao fino alle processioni di Zola, dei carri che dalla campagna sciamano fino alle Halles, propongono un rapporto gerarchico fra la pietra e la terra.

C’è da sperare, che magari lo sciopero dei camionisti faccia riflettere chi di dovere, anche qui da noi, sulla necessità di superare davvero le chiacchiere sulla “misura d’uomo” o addirittura sullo “sviluppo sostenibile”, fatte a solo uso di qualche dichiarazione televisiva o elettorale. Ascolto il tuo stomaco, città, e credo che dovresti curarti l’ulcera. Urgentemente.

Nota: fra i testi e temi citati nell’articolo si vedano anche le traduzioni in italiano di Susan Cozier, La Dieta dei 150 Chilometri, E/Environmental Magazine, 15 settembre 2007; e Robert Freudenberg, Comprare locale aiuta a salvare il mondo? Spotlight on the Region, dicembre 2006 (f.b.)

Carlo Petrini, La rivincita del localismo, la Repubblica, 13 dicembre 2007

È una pace fragile quella siglata tra gli autotrasportatori e Palazzo Chigi, un’intesa che lascia al Paese una sensazione di grande debolezza strutturale visto che sono bastati due giorni per mettere in ginocchio quasi tutte le città.
Tuttavia, sia pure senza volerlo, il blocco dei Tir ci ha dato una risposta laterale e straordinaria, che se ne sta lì, quieta e sorridente, in attesa che qualcuno la noti e gli sorrida di rimando. «Nel mondo vì sono tante città, una te l’ho già detta, quale sarà?». Era un giochino che, dalle mie parti, ci facevano da bambini e che ci insegnava a vedere le soluzioni dentro i problemi (Mondovì era la città nascosta nella domanda).
Lì dove? Non certo sulle autostrade intasate, né nei telegiornali che hanno alternato con zelo la par condicio tra padroncini arrabbiati e politici indignati e quella tra gli automobilisti che avevano ancora abbastanza benzina per andare a bloccarsi in una coda per ore e quelli che invece sono rimasti fuori da quella follia solo perché il benzinaio è restato senza carburante.
Ma tra le tante interviste televisive alcune hanno fatto centro, sia pure senza saperlo. In un mercato rionale di Roma i giornalisti hanno cercato di indagare sulla situazione delle vendite al dettaglio di generi alimentari. I venditori quasi si scusavano: «Oggi c’è poco, è arrivata solo la roba locale per via dello sciopero dei Tir…». La telecamera si è allargata su una specie di Bengodi di verdure di stagione, locali, un commestibile giardino d’inverno ricco di tutti i colori, i profumi e i sapori che l’agro romano può offrire. Mancavano le banane, i manghi, le fragole? Evviva. Mancavano i gamberetti del Pacifico e la polpa di granchio? Perfetto.
Certo Roma ha intorno a sé un’areale agricolo che altre città non possono nemmeno sognare. Però usiamo questa vicenda come il paradigma della storia che stava nascosta dietro i tir, perché non ci sono solo le grandi città, in Italia; ci sono centinaia di città piccole e medie che hanno i campi e gli orti appena fuori dal centro storico.

171450581-15d1e8f1-3924-4ccf-9404-5c6f0afd3a97Le economie locali non le fermi tanto facilmente, perché non hanno molti bisogni. Chi ha molti bisogni ha molti padroni. Le economie locali sono libere perché sono piccole e agili. Perché sono adattabili e flessibili. E sono così perché hanno un alto tasso di biodiversità e perché la soddisfazione delle loro esigenze è al centro di un sistema paritario, di dare e avere, che invece non può essere il paradigma della grande distribuzione. Le economie locali non hanno padroni, hanno una rete di interazioni. E parte di questa rete è costituita proprio dai consumatori, i quali si possono rilassare: escano a piedi, facciano una passeggiata nel centro storico delle loro città, arrivino fino al più vicino mercato, facciano due chiacchiere con i venditori, che magari sono anche agricoltori, acquistino frutta e verdura locali di stagione e quanto il loro territorio offre. Poi tornino a casa o in ufficio (anche uno spuntino può essere arrivato in Tir o essere stato prodotto localmente) e si godano un pasto a chilometri zero, a carburante zero, a emissioni zero, a nervosismo zero.

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Terra d'Egnazia

'Gnatia Lymphis iratis exstructa'

leonardopalmisano

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'Gnatia Lymphis iratis exstructa'

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