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Terra d'Egnazia

~ 'Gnatia Lymphis iratis exstructa'

Terra d'Egnazia

Archivi della categoria: Paesaggio

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Monopoli: La città che vorrei

21 mercoledì Mar 2018

 

In vista delle elezioni amministrative monopolitane del prossimo 27 maggio, dando seguito ed evidenza al lavoro svolto negli ultimi cinque anni insieme ad altre associazioni, Terra d’Egnazia chiede a tutte le forze politiche ed ai rispettivi candidati sindaci, di mettere al centro dei propri programmi le questioni ecologiche legate allo sviluppo economico della città.

Riteniamo che le due parole appena citate, Ecologia ed Economia, ad un primo approccio apparentemente in contrasto tra di loro, siano invece una contenuta nell’altra. Facciamo particolare riferimento al libro di Ferdinando Boero – “Economia senza natura. La grande truffa”

Se è vero infatti che la natura è arrivata prima dell’economia, è altrettanto vero che oggi il mondo è governato da economisti che si rifiutano di tener conto dell’ecologia, e che guardano con superiorità a qualsiasi soluzione amica dell’ambiente. Non capiscono però che l’economia è un corollario dell’ecologia, e che potrà continuare a esistere solo se saprà essere un’economia della, e non senza, natura. Perché quest’ultima, prima o poi, presenta il conto.

Jorge Mario Bergoglio (Papa Francesco), nella sua ultima Enciclica, “Laudato sì” afferma:

“Il paradigma tecnocratico tende ad esercitare il proprio dominio anche sull’economia e sulla politica. L’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza prestare attenzione a eventuali conseguenze negative per l’essere umano. La finanza soffoca l’economia reale. Non si è imparata la lezione della crisi finanziaria mondiale e con molta lentezza si impara quella del deterioramento ambientale”.

Che cosa intendiamo per ambiente? Possiamo affermare che l’insieme dei luoghi frequentati abitualmente dall’individuo e dal gruppo al quale appartiene costituiscono quello che i geografi chiamano “spazio vissuto”, espressione che indica la territorialità umana, l’ecologia insediativa dell’uomo, l’ambiente di vita connotato da elementi come il senso di appartenenza, l’emotività, la storia personale e familiare, le vicende collettive della comunità.

Alla percezione dello spazio vissuto contribuiscono non solo le esperienze affrontate in prima persona, ma anche letture e narrazioni familiari che portano all’elaborazione mentale del senso del luogo.

Possiamo ragionevolmente dire che questi “spazi vissuti” sono quelle porzioni di territorio ricche di beni culturali, storici, artistici e naturalistici, che costituiscono di per sé bene paesaggistico, oggi tutelati definitivamente dal  “Codice dei beni culturali e del paesaggio”.

Paesaggi possono essere anche “visioni” o “pre-visioni” che ognuno di noi riesce ad avere o gli scenari che riesce a prefigurare, degli spazi, dei luoghi della memoria e del presente, i propri spazi appunto, quelli della quotidianità. Il loro variare dipende molto dalle nostre azioni di individui posti in una comunità che, con le sue regole, ne decreta definitivamente le trasformazioni. È questo il “paesaggio culturale” a cui dovremmo ambire e di cui dovremmo essere pervasi cercando di mediare tra le parti chiamate in causa.

 

Indispensabile, in questo contesto, è maturare e promuovere una sensibilità ambientale che aiuti amministratori e cittadini a comprendere come il nostro territorio non rappresenti solo una risorsa da “sfruttare”, ma anche e soprattutto una risorsa da preservare e tutelare, in quanto vera e duratura ricchezza; ricchezza competitiva, che possiamo strategicamente utilizzare, ora e in futuro.

 

Si tratta quindi di scegliere di essere cicala o perseguire gli insegnamenti dei nostri nonni che, come formiche, sono riusciti a preservarci l’immenso patrimonio ormai apprezzato ed invidiato in tutto il mondo.

In quest’ottica emergono tutti i temi che sono alla base di un buon governo, ovvero quelli che riguardano i beni comuni, oggi strategicamente legati ad uno sviluppo che non può più considerare l’economia slegata dalla natura; ciò che oggi sintetizziamo in quel concetto, spesso abusato e distorto, di sviluppo sostenibile:

Ambrogio Lorenzetti: La città del buon governo.

Sul consumo di suolo

Legato al patrimonio agricolo ed al paesaggio agrario fonti primarie dell’economia locale fondata su agricoltura e turismo rurale.

Azioni suggerite:

  1. sottoscrizione della proposta di legge redatta dal FORUM ITALIANO DEI MOVIMENTI PER LA TERRA E IL PAESAGGIO, per la “tutela del suolo e del paesaggio italiano”;
  2. adozione di un documento programmatico che incentivi la rigenerazione urbana per le nuove costruzioni, ponendosi come obbiettivo il consumo di suolo zero;
  3. promozione di un parco agrario, attraverso l’adozione della bandiera della pace dell’UNESCO strumentale per la difesa e la protezione dei tesori artistici e culturali in tutte le nazioni, da istituire nei territori rurali storici della Piana degli ulivi monumentali già inseriti nel paesaggio rurale storico d’Italia e premiati dal Ministero delle Politiche Agricole, Agroalimentari e Forestali.
    Tale misura diventa per noi strategica e propedeutica per ambire  alla candidatura della Piana degli Ulivi a patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, che aggiungerebbe valore alla nostra enogastronomia con la creazione di un marchio di qualità dei prodotti della terra e del mare.

Conosciuto come il “ Patto e la Bandiera della Pace, fu ideata e disegnata da Nicholas Roerich il quale, deplorando la distruzione delle ricchezze artistiche nella prima guerra mondiale, concepì un trattato internazionale per la difesa e la protezione dei tesori artistici e culturali in tutte le nazioni, anticipando lo statuto e la protezione dell’arte e della natura dell’UNESCO, di circa 70 anni.

 

Sulla tutela del Borgo Antico

Con l’avvento del turismo di massa, il borgo antico si sta trasformando e tipizzando in alberghi diffusi, B&B, case vacanza e attività commerciali legate al turismo. Tutto ciò sta avvenendo senza alcuna programmazione  ma soprattutto non tenendo conto delle esigenze dei residenti. Il successo del Borgo Antico è da rintracciare proprio nel suo valore storico/sociale/architettonico fatto di abitanti, le “genti vive” che lo abitano, in quel mix eterogeneo di gruppi socialmente differenti all’interno della stessa area urbana sintetizzato nel concetto di mixitè.

Azioni suggerite:

  1. facendo riferimento alle politiche di rigenerazione integrata, volte a promuovere l’integrazione e la mescolanza sociale, crediamo sia di fondamentale importanza attivare politiche che favoriscano la mixitè, promuovendo la coesione sociale, la lotta alla segregazione e alla dispersione sociale e restituendo alla città gli spazi pubblici;
  2. favorire l’apertura ed il mantenimento di botteghe artigianali di eccellenza, (maestri d’ascia, lavorazioni del ferro battuto, falegnamerie, ecc.),
  3. valorizzare la cultura del mare e la storica marineria, completamente ignorata dalle passate amministrazioni, mediante l’istituzione del Museo del Mare attraverso la creazione di una Mappa di Comunità redatta con il coinvolgimento degli studenti delle scuole primarie e secondarie.

Rig centri storici

 

Sul monitoraggio della costa e sulla pianificazioni delle azioni a supporto di un turismo sostenibile – A cura di Giovanni Melchiorre

Per garantire il “corretto equilibrio fra la salvaguardia degli aspetti ambientali e paesaggistici del litorale monopolitano, la libera fruizione e lo sviluppo delle attività turistico ricreative” (art. 1 norme tecniche di attuazione del Piano Regionale della Costa), risulta fondamentale promuovere una relazione positiva tra tutela e sviluppo della costa.

Un modello di turismo sostenibile che riguardi la fascia costiera, con un’offerta che non duri solo i 2-3 mesi estivi, ma si sviluppi lungo l’intero anno, può essere attuato soltanto dopo un’accurata ricognizione dell’attuale stato dei luoghi ed una conoscenza di tutte le componenti culturali (storiche, fisiche, ambientali, paesaggistiche) degli stessi luoghi.

Negli ultimi 20 anni, la Città ha subito una crescita incontrollata di attività a supporto del turismo balneare, sulla base di strumenti di regolamentazione di rango comunale spesso in contrasto con le norme sovraordinate (regionali e nazionali). Lo stesso Piano Comunale delle Coste, il cui iter tecnico-amministrativo si è arenato dopo l’adozione del Novembre 2015, che molte aspettative ha indotto nella cittadinanza, risulterebbe comunque insufficiente a regolamentare l’attuale situazione di caos ambientale e paesaggistico che caratterizza la costa di Monopoli.
Infatti, la profondità della fascia demaniale che il PCC è chiamato a regolamentare risulta esigua, mentre, la maggior parte di “interventi” funzionali al turismo balneare sono stati realizzati su aree private, soggette, pertanto, alla pianificazione urbanistica comunale (P.U.G.).

Un tema di grande rilievo è quello della “gestione” della costa, con tutte le problematiche legate ai rischi, derivanti dall’elevata esposizione estiva a fronte di significative probabilità di crolli delle porzioni rocciose, ma anche di fenomeni quali l’erosione costiera delle porzioni sabbiose.

Azioni suggerite:

L’azione più importante per progettare un’offerta turistica di alto rango, che tenga conto della sostenibilità economica ed ambientale per attuare qualunque tipo di pianificazione territoriale (urbanistica, della viabilità, turistica, agricola, industriale, …) è il monitoraggio del territorio, fattibile con grande accuratezza grazie alla disponibilità di un’enorme mole di dati satellitari, disponibili giorno per giorno a costi molto vantaggiosi.

Fenomeni come l’arretramento della costa rocciosa e l’erosione delle porzioni sabbiose potrebbero essere conosciuti e studiati al fine di valutare le migliori soluzioni. La gestione delle spiagge, sia libere sia in concessione, risulterebbe molto più efficace, anche negli aspetti quotidiani, come l’oscillazione della linea di battigia e/o la gestione delle BVS (biomasse vegetali spiaggiate).
Tra le azioni già avviate che riguardano la costa vi è certamente il Piano Comunale delle Coste che, tuttavia, necessita di una profonda revisione prima dell’approvazione definitiva, azione questa che deve necessariamente partire dall’analisi delle osservazioni prodotte a seguito dell’adozione, con la massima partecipazione dei cittadini.

Risulta indispensabile, inoltre, programmare la rimozione di barriere e impedimenti al libero accesso al mare, con particolare attenzione al ripristino dei coni visivi.

 

Sulla Partecipazione

La tanto attesa partecipazione tra cittadini, lavoratori pubblici e amministratori, oggi disciplinata dalla L.R. N. 28 del 13/07/2017 per il perseguimento degli interessi generali, si è dimostrata negli anni passati un vero fallimento  (vedi tavoli partecipati nel progetto dell’area P1 dell’ex Cementeria e per la redazione del Piano Comunale della Costa)

Azioni suggerite:

Per favorire la partecipazione attiva e il civismo diffuso come fondamento di una comunità di cittadini è necessario:

  1. Disciplinare le forme di collaborazione tra cittadini, associazioni e amministrazione per la cura, la gestione condivisa dei beni comuni, attraverso l’adozione di un Regolamento della partecipazione attiva e per la collaborazione dei cittadini (prendendo spunto da città virtuose come Pistoia) da sottoporre a consultazione pubblica, sia attraverso incontri specifici dedicati alle realtà più attive del territorio, quali le associazioni, i comitati, il mondo della scuola, sia tramite la rete.
  2. valorizzare le libere forme associative;

 

Su Mobilità e spazi pubblici

Condividiamo e promuoviamo la visione e le proposte di riorganizzazione dello spazio pubblico al fine di migliorarne la qualità e la vivibilità, garantendo l’accessibilità e la sicurezza, che l’associazione #Salvaiciclisti Terre del Sud, in concerto con Terra d’Egnazia, ha redatto e proposto alle forze politiche monopolitane: “Mobilità urbana: la città che vorrei”

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Pubblicato da terradegnazia | Filed under Ambiente, Editoriale, Paesaggio, Territorio

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Piano comunale della costa fasanese – Cicale o Formiche ?

15 sabato Lug 2017

 

Piano Comunale della Costa fasanese – Obbiettivi, Speranze, Timori

 – Torre Canne 14 Luglio 2017 –

Pubblichiamo integralmente l’intervento del presidente di Terra d’Egnazia all’incontro sul Piano Comunale della Costa.

Il mio ruolo in questa conversazione, (come presidente TdE e attivista del MIC) ha l’obbiettivo di definire le parole chiave che dovrebbero essere al centro di un processo di redazione di uno strumento strategico di sviluppo come un PCC, anche attraverso alcune fondamentali notazioni generali sul Piano Regionale delle Coste, per cercare di far comprendere, soprattutto al pubblico intervenuto, di cosa stiamo discutendo e finire con alcune domande ai progettisti.

Le parole chiave

“spazio vissuto” – ecologia – paesaggio

L’insieme dei luoghi frequentati abitualmente dall’individuo e dal gruppo al quale appartiene costituiscono quello che i geografi chiamano “spazio vissuto”, espressione che indica la territorialità umana, l’ecologia insediativa dell’uomo, l’ambiente di vita connotato da elementi come il senso di appartenenza, l’emotività, la storia personale e familiare, le vicende collettive della comunità.

Alla percezione dello spazio vissuto contribuiscono non solo le esperienze affrontate in prima persona, ma anche letture e narrazioni familiari che portano all’elaborazione mentale del senso del luogo.

Questi “spazi vissuti” possiamo ragionevolmente dire che sono anche quelle porzioni di territorio ricche di beni culturali, storici, artistici e naturalistici, che costituiscono di per sé bene paesaggistico, oggi tutelati definitivamente dal  “Codice dei beni culturali e del paesaggio”: in particolare tra le aree tutelate dalla stessa legge vi sono:

“i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare;” (evocando la legge Galasso)

Alla fine degli anni ’90 ho dedicato circa due anni allo studio degli spazi vissuti di questo territorio ed in particolare del territorio fasanese. Qui dopo un’analisi di tipo territorialista, non ancora convenzionale  per quei tempi, venne fuori una suddivisione del territorio in quattro differenti ecologie, in particolare l’ecologia insediativa che definiva il fronte mare( e non solo) s’identificò come l’ “Ecologia dei Gozzi”.(metafora)

Paesaggi(citando anche il neonato “Selva in Festival”) sono anche “visioni” o “pre-visioni” che ognuno di noi riesce ad avere o gli scenari che riesce a prefigurare, degli spazi, dei luoghi della memoria e del presente,  i propri spazi appunto, quelli della quotidianità. Il loro variare dipende molto dalle azioni, le nostre, di individui posti in una comunità che, con le sue regole, ne decreta definitivamente le trasformazioni. E’ questo il paesaggio culturale a cui dovremmo ambire e di cui dovremmo essere pervasi cercando di mediare tra le parti chiamate in causa.

Indispensabile, in questo contesto, maturare e promuovere una sensibilità ambientale che aiuti amministratori e cittadini a comprendere come il nostro territorio non rappresenti solo una risorsa da “sfruttare”, ma anche e soprattutto una risorsa da preservare e tutelare, in quanto vera e duratura ricchezza; ricchezza competitiva, che possiamo strategicamente utilizzare, ora e in futuro.

Si tratta quindi di scegliere di essere cicala o perseguire gli insegnamenti dei nostri nonni, che come formiche sono riusciti a consegnarci l’immenso patrimonio ormai apprezzato ed invidiato in tutto il mondo?

Piano Regionale delle Coste

Il piano si prefigge di “garantire il corretto equilibrio fra la salvaguardia degli aspetti ambientali e paesaggistici del litorale pugliese, la libera fruizione e lo sviluppo delle attività turistico ricreative” (art. 1 norme tecniche di attuazione del Prc). In sintesi, il piano cerca di promuovere una relazione positiva tra tutela e sviluppo della costa.

Interessante appare la definizione dell’ambito territoriale di studio, ampliato in ragione della possibilità di comprensione dei fenomeni ambientali da analizzare. Infatti, considerata l’eterogeneità con cui si presenta l’intero territorio costiero regionale, non è stato analizzato un ambito di studio costante per tutta la regione, né sono stati utilizzati i confini amministrativi dei comuni costieri. Si è ritenuto più utile definire un ambito di studio a geometria variabile a seconda delle specifiche situazioni in cui si presenta la fascia costiera.

Ciò dovrebbe farci evitare di pensare ai molteplici tratti di costa come elementi lineari all’interno della fascia demaniale o dei trecento metri tutelati prima dalla Galasso (L. 431/1985) poi dal Codice Urbani (Dlgs. 42/2004 Codice dei Beni Culturali) ma permette di considerarli come ambiti integrati tra terra e mare dei quali occorre comprendere gli elementi generatori che ne regolano il funzionamento, indirizzando le attività antropiche(dell’uomo) in modo tale da esaltarne le peculiarità.

L’incrocio dei differenti livelli di criticità all’erosione e di sensibilità ambientale ha permesso di ottenere 9 distinti gradi di tutela, che costituiscono il riferimento normativo al quale tutti i comuni dovranno riferirsi nella redazione dei Piani Comunali delle Coste.

Altro aspetto di rilievo del Prc, quello di costituire uno strumento di pianificazione attraverso il quale la Regione possa coordinare e indirizzare l’attività degli Enti locali, ai quali sono state trasferite funzioni amministrative in materia di “rilascio di concessioni demaniali marittime”.

Il Prc quindi fornisce le linee guida, indirizzi e criteri ai quali devono conformarsi i Piani Comunali delle Coste.

Il Piano Comunale della Costa

Allo stesso tempo, la redazione del PCC deve però rappresentare un’occasione irripetibile per la salvaguardia e la valorizzazione dei contesti ambientali e paesaggistici legati ad una fascia di territorio che, partendo dalla linea di costa, si deve estendere verso l’interno ben oltre i 300 metri.

Ritengo che in questa ulteriore attività di previsione attribuita al PCC, risieda una possibilità unica in cui compiere un ulteriore sforzo finalizzato alla tutela di quelle risorse ambientali che, viceversa, rischiano di restare compromesse dalle trasformazioni, a volte irreversibili, che vengono continuamente operate sul territorio.

Per la stima della sensibilità ambientale quindi , si potrebbe riconoscere ad esempio l’approccio suggerito dal PRC, da cui si evince come la sensibilità non sia da valutare solo in funzione della situazione esistente nella fascia demaniale, ma anche di una profonda porzione del territorio a monte,(i corridoi ecologici(lame) che sfociano al mare dando vita alle calette e sorgenti, la piana olivetata, gli orti irrigui) integrando, e quindi facendo dialogare, nella fase di redazione del piano, aspetti legati al turismo con quelli del settore primario(pesca, agricoltura).

Partecipazione

“Il modo migliore di trattare le questioni ambientali è quello di assicurare la partecipazione di tutti i cittadini interessati, ai diversi livelli”. (Convenzione di Aarhus)

La Convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale è il primo e unico strumento internazionale, legalmente vincolante, che recepisce e pone in pratica tale principio, dando concretezza ed efficacia al concetto di democrazia ambientale.

Partecipazione e VAS

Che cos’è la VAS?

La VAS è un processo che concorre alle scelte di Piano per garantire adeguati livelli di protezione dell’ambiente e più in generale la promozione dello sviluppo sostenibile.

A differenza della VIA, la VAS si sviluppa in parallelo alla redazione del piano oggetto della valutazione, per assicurarne le opportune correzioni in corso di redazione e il monitoraggio nelle successive fasi di attuazione, avendo l’obiettivo di “contribuire all’integrazione di considerazioni ambientali all’atto dell’elaborazione e dell’adozione di piani e programmi […] che possono avere effetti significativi sull’ambiente” (art. 1 Direttiva 42/2001).

Il processo di Valutazione ambientale strategica dev’essere per legge progettato e condotto in modo il più possibile partecipativo.

Non essendo ancora in grado di dare un giudizio sul piano in fase di redazione, di cui non sappiamo bene a che punto sia la sua stesura, ed al fine di poter contribuire in maniera significativa a costruire il percorso progettuale e le scelte che si andranno ad operare, chiediamo  ai progettisti che sia precisamente spiegato:

se è stata avviata la procedura di verifica di assoggettabilità a VAS.( procedura finalizzata ad accertare se un piano o un programma debba o meno essere assoggettato alla procedura di Valutazione Ambientale Strategica)

Ss è in fase di redazione ed è disponibile il rapporto preliminare di verifica, che è parte integrante del Piano con l’elenco di tutti i soggetti interessati alla consultazione.

Se e in che modo si intende tenere conto dei contributi acquisiti in fase di consultazione.

Giambattista Giannoccaro

Presidente APS Terra d’Egnazia

Pubblicato da terradegnazia | Filed under Ambiente, Paesaggio, Territorio, Urbanistica

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Infrastrutture, consumo di suolo, assetto del territorio

05 sabato Nov 2016

Posted by terradegnazia in Ambiente, Cittadinanza, Editoriale, Paesaggio, Territorio, Urbanistica

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Fasano, Infrastrutture, Mall, Ospedale, Palazzetto, Sport, Territorio

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“Il paradigma tecnocratico tende ad esercitare il proprio dominio anche sull’economia e sulla politica. L’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza prestare attenzione a eventuali conseguenze negative per l’essere umano. La finanza soffoca l’economia reale. Non si è imparata la lezione della crisi finanziaria mondiale e con molta lentezza si impara quella del deterioramento ambientale”.
Jorge Mario Bergoglio, “Laudato sì”

“Il nostro mondo è in pericolo. La curva dell’economia sale, ma la curva dell’ecologia scende. L’uomo, in equilibrio precario sulla crescita dell’economia, sta per essere travolto dalla decrescita dell’ecologia. La natura ce la farà: per lei non ci sono problemi… Piuttosto siamo noi ad essere in pericolo, a causa del nostro sconsiderato successo”.
Ferdinando Boero, Economia senza natura. La grande truffa

Alla c.a.
Ill.mo sindaco di Fasano, dott. Francesco Zaccaria

La prossima realizzazione di infrastrutture come il Palazzetto dello Sport, lo Shopping Mall, le lottizzazioni ad uso residenziale (come per il recupero della ex siderurgica Liuzzi), e/o le per opifici ad uso artigianale, agricolo e industriale, il nuovo Ospedale (il quale, per quanto sorgerà sul territorio di Monopoli e non sia di stretto interesse amministrativo della nostra città, si rivolge alle cittadinanze di un’area vasta in sui è compresa la nostra comunità), offrono non pochi spunti di riflessione sul futuro del nostro territorio, sulle incidenze e ripercussioni ambientali, economiche e sociali.

Si tratta di questioni di fondamentale importanza alle quali spesso la cittadinanza e ancor più la politica non prestano la dovuta attenzione. Ciò accade, spesso, a causa della quasi totale mancanza di sensibilità, attenzione e formazione di base riguardo la natura essenziale del territorio. Sembra radicata nella mentalità dei più, la convinzione che il territorio, e più in generale la terra, sia un bene di consumo usa e getta, non un bene necessario e assoluto, sul quale si fondano in modo perenne la comunità umana, le sue radici culturali, la sua storia, la sua economia, il suo futuro.

Vorremmo sottoporre alla città, all’ill.mo sig. Sindaco, alla giunta amministrativa, al consiglio comunale, il nostro punto di vista a riguardo, affinché si avvii un percorso di discussione e confronto, che coinvolga tutta la comunità locale, gli organi istituzionali e tutte quelle personalità che possono offrire punti di vista e competenze a beneficio del territorio.

Molto sinteticamente, riteniamo sia necessario, urgente e non più rinviabile affrontare il problema tenendo conto di tre punti cardini, tre colonne portanti sulle quali fondare la realizzazione di opere che inevitabilmente impatteranno con il nostro territorio: 1) rispetto dell’ambiente; 2) utilità delle opere al netto del rapporto costi/benefici per il territorio; 3) materiali e metodi di realizzazione.

Queste opere, da quella ritenuta più utile a quella per la quale molti vorrebbero fare a meno per le ragioni diverse (comprese quelle di natura ideologica), avranno il loro impatto con l’ambiente. E’ necessario quindi considerare le conseguenze idrogeologiche (deflusso delle acque pluviali), e agronomiche (erosione della biodiversità), il consumo di suolo e le conseguenti ricadute economiche e sociali.

In genere quando si parla di realizzazione di impianti, che siano sportivi, commerciali, nonché edifici destinati ad uso sanitario e/o abitativo pubblico e/o privato, non si può non pensare ai metri cubi di cemento armato che saranno utilizzati, ma anche a tutte quelle aziende, maestranze e manovalanze (e relative famiglie) del territorio, le quali potrebbero trarre vantaggio immediato o nocumento nel lungo termine, dalla realizzazione di queste opere.

Riteniamo che tutte le opere che presto interesseranno il nostro territorio, a seconda di come e dove saranno realizzate (metodi, appalti, tecnologie e materiali), potrebbero rappresentare l’opportunità di grandi benefici per il territorio stesso, una iattura o la combinazione di entrambe. E’ necessario, a tal proposito, che alle procedure di realizzazione, ai processi di programmazione, realizzazione e monitoraggio delle opere stesse, i portatori di interessi (la cittadinanza, più o meno organizzata), partecipino attivamente.

Cosa accadrà, ad esempio, a valle della realizzazione del nuovo ospedale e dell’outlet una volta realizzati? Non vorremmo trovarci difronte al ripetersi di quanto è accaduto, e in buona parte ancora accade, da Montalbano fino a valle in località Tavernese. Qui, nonostante nell’ultimo decennio sia intervenuta la realizzazione del canale di regimentazione delle acque che arriva fino a mare, e per il quale sono stati alterati e consumati decine di chilometri di territorio, fino alla ferita inferta alla duna fossile, il problema delle alluvioni non è stato del tutto risolto. Le condizioni attuale del canale, in cui si riversano rifiuti di ogni sorta, come ampiamente decumentabile e documentato, sono a dir poco vergognose.

Riteniamo siano necessari, una riflessione e un confronto pubblico, diffuso e condiviso con la cittadinanza, per addivenire alla ragione di un paradigma comune, un approccio cosciente e consapevole, riguardo le scelte della politica in tema di infrastrutture, poiché, come è evidente queste impattano spesso negativamente, tanto con l’ambiente, quanto con la comunità.

Giuseppe Vinci – Terra d’Egnazia (Onlus)

L’olivicoltura tradizionale è in crisi?

11 martedì Ott 2016

Posted by terradegnazia in Ambiente, Paesaggio, Territorio

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Tag

Biodiversità, CoDiRO, Intensivo, olivicoltura, Olivo, Puglia, Xylella

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Brevi considerazioni sul dibattito tra olivicoltura intensiva e tradizionale. Uno scontro ideologico.

Stando alle opinioni di non pochi “esperti” di olivicoltura (chi gli avrà mai dato questo attributo?), le cultivar di olivo “troppo” antiche, come quelle presenti in buona parte del territorio pugliese, non risultano essere adatte alla “competizione internazionale”.

Se non fosse chiaro, “nutrire”, perché olive e olio servono innanzitutto a nutrire, si riduce a mera competizione. Come dire che, per vivere, le società umane devono competere tra di loro piuttosto che cooperare.

Il liberismo ha snaturato il pianeta Terra, compreso il genere umano. Anzi, se proprio devo dirla tutta, il genere umano, con il liberismo, con questo liberismo in cui le regole (anche quelle sociali, costumi e mode comprese), sono demandate ai mercati, ha fatto della vita (bios), una competizione. E’ sotto gli occhi di tutti che, questo competere, nelle società più evolute ed emancipate (non si sa poi rispetto a cosa), si sostituisce alle guerre armate. La competizione si sostituisce alla guerra, la sussume. E’ così che i danni collaterali di questa nuova modalità di fare la guerra, che si combatte sul piano economico e finanziario, è in grado di spalmare e frammentare nello spazio tempo, distruzione e morte, tanto da non farle apparire come una conseguenza delle bombe. Eppure, lo smantellamento dello stato sociale, la crescente disoccupazione, l’incontenibile declino economico, non sono altro che veri e propri bollettini di guerra.

Siamo chiaramente in presenza dell’ennesimo dogma liberista, senza alcun fondamento logico, razionale, neppure ragionevole, piuttosto impositivo, arrogante, violento, come sa fare l’essere per la guerra.

Ma torniamo all’olivicoltura. Come si risolve questo problema atavico della troppo antica olivicoltura a quanto sembra non al passo con i tempi? Secondo la propaganda del regime liberista (che vede attivamente partecipi non pochi politici locali, regionali e nazionali, compresi illustri rappresentanti in seno alla UE – dovremmo chiamarli lobbisti, visto che non sono stati eletti dal popolo ma nominati dai partiti! – dirigenti, associazioni di categoria, ricercatori pubblici – pagati dallo Stato con denaro pubblico! – in pieno conflitto d’interesse, e naturalmente imprese), bisognerebbe cancellare da un giorno all’altro, proprio come fa la guerra, interi paesaggi per ridisegnarli, mettendo a repentaglio equilibri agro-ambientali già resi fragili, precari da pratiche agricole e industriali scellerate, criminali.

Il mantra è quello dell’olivicoltura super intensiva a base di varietà moderne, resistenti ai patogeni (l’avvento del batterio Xylella Fastidiosa sembra quanto mai tempestivo) e alle asperità ambientali, maggiormente produttive e remunerative, più comode da gestire, da sostituire e reimpiantare ogni vent’anni, insomma alla moda, al passo coi tempi. Siamo già in pieno regime di varietà incrociate, varietà clonali micropropagate e nel frattempo si prelude agli Ogm che però necessitano del continuo supporto della chimica, innescando un meccanismo perverso di continua dipendenza dagli agrofarmaci di sintesi e quindi dalle multinazionali. Un chiarimento in tal senso lo offre il prof. Pietro Perrino (già direttore dell’Istituto del Germoplasma CNR Bari).

“A tal proposito l’idea di sostituire le varietà suscettibili (per es. l’Ogliarola) con quelle resistenti/tolleranti (per es. il Leccino) sarebbe una follia, per il semplice motivo che nel tempo i patogeni possono specializzarsi nel mettere a punto nuovi meccanismi di attacco e quindi le varietà resistenti/tolleranti possono diventare suscettibili. E saremmo punto ed a capo. Quello che impedisce ai patogeni di diventare virulenti è proprio la biodiversità. La mole di dati esistenti in letteratura è sufficiente a confermarlo. Sulla base di questo semplice principio, l’unica arma vera contro i patogeni e la loro diffusione è la coltivazione di più varietà nello stesso campo”.

E dunque, si vorrebbe fare piazza pulita della piccola proprietà fondiaria, dell’attuale sistema olivicolo, di intere economie famigliari, di un sistema sociale e culturale che ha radici antiche, secolari, millenarie, che caratterizza le identità di interi territori e popolazioni, le quali, pur essendo antiche nell’essenza, non hanno mai disdegnato di vivere nel tempo corrente. Salvo che per coloro – e purtroppo non sono pochi – il quali in questo momento di transizione epocale, cadono come in coma, rapiti dagli inganni delle chimere liberiste, tanto da convincersi del fatto che “la guerra fa bene all’amore”.

A rischio è anche e soprattutto l’agro-biodiversità, anche in ambito olivicolo. A riguardo vale la pena di soffermarsi ancora una volta sulle parole del Prof. Pietro Perrino il quale evidenzia: “perché insistere con la monocoltura e l’agricoltura intensiva? Se il motivo è di essere più competitivi con altri Paesi, la risposta è che oggi ci troviamo in una situazione disastrosa, sotto molti punti di vista, proprio per colpa di politiche basate sulla competizione invece che sulla cooperazione e sulla qualità delle produzioni più che sulle quantità. L’umanità non ha bisogno di quantità, ma di qualità”.

Ora, se è vero che le cultivar esistenti sono più di 500, le stesse si trovano differenziate da territorio a territorio non a caso. Le antiche cultivar (perché ce ne sono di moderne?! ah già, negli ultimi mesi abbiamo sentito parlare della munifica varietà “lecciana”, frutto dell’incrocio tra leccino e arbesana), hanno caratterizzato i paesaggi e quindi le culture e le economie di base. Nei secoli, nei millenni, cultivar come le frantoio pugliesi (oliarola, cellina, cima, ecc.) hanno avuto il tempo “lento” e necessario, anche sotto il profilo della genotipizzazione, di adattarsi ai diversi ambienti, sviluppando quelle caratteristiche spesso uniche che, rispetto ai luoghi e nei “tempi”, andrebbero meglio e adeguatamente qualificate, a partire dai metodi colturali (corretta conduzione dell’oliveto, raccolta, molitura, confezionamento e vendita) facendone veri e propri punti di forza. Si tratta dunque di visione e volontà, di quello che vogliamo per il nostro futuro.

Come dire: questo siamo noi, il nostro essere al di là dei tempi, con le nostre qualità e caratteristiche, e non altro. Quell’essere che per affermare la propria esistenza ed essenza, non ha bisogno di partecipare a nuovi scontri di civiltà, a nuovi massacri, allo stravolgimento dei territori, delle economie di base, delle radici, anche culturali, di combattere un nemico voluto da un’entità invisibile, di partecipare a una competizione nella quale non ci sono vincitori ma ci sono solo vinti: gli uomini, la terra, la vita (bios).

Storie di calce. Tecnologie della tradizione stupidamente dimenticate… o quasi.

26 lunedì Gen 2015

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di Giambattista GiannoccaroINCALCINATORE

Ricordo che, da bambino, quando era alle porte la “stagione”, (era chiamato così da mio nonno il periodo che va da maggio a fine ottobre) dalle mie parti era tempo di rinfrescare a calce le pareti delle “casine” di campagna, prima di ricolonizzarle, dopo l’abbandono invernale, in quella transumanza umana che ci vedeva spostare le nostre dimore dalla città alla “villeggiatura”. Stessa pratica si svolgeva in buona parte dei borghi antichi di questa parte di Puglia messapica. Mio nonno, tutti gli anni chiamava tutti i suoi nipoti più volenterosi per partecipare a quello che era un vero e proprio rito dell’apertura della stagione estiva per andare alla casina in collina ad aiutare Jujuccio, si chiamava così l’incalcinatore che tutti gli anni, armato soltanto di secchi e pennellesse ci incantava con la sua maestria.

Ognuno aveva un compito ben preciso: chi era addetto a tirar su l’acqua dal pozzo, a mano, con un secchiello di ferro zincato legato ad una corda di canapa, bisognava riempire il grande tino; chi invece era incaricato a scaricare dalla macchina del nonno(una Simca color carta da zucchero con il mitico cagnolino di plastica e collo snodato che si muove con l’auto in movimento) quelle che per noi allora erano delle pietre magiche, per riporle nello stesso tino. La prima volta che vidi immergere quelle pietre in acqua in quel grosso tino, l’ingenuità dei miei 8 anni mi suggerì che volessero cucinarle. Chi avrebbe mai pensato che, di li a poco, dentro quella tinozza si sarebbe scatenato veramente un ribollire subito dopo averle immerse in acqua. Senza saperlo, noi bambini, stavamo partecipando alla produzione di calce, “spegnendo” quelle pietre, che in realtà erano ormai blocchi di calce viva provenienti da quelle “calcare” sparse tra le colline e la piana degli ulivi millenari della Terra d’Egnazia.

Trullo antico

La calce, ottenuta per cottura a temperatura elevata di rocce calcaree, è costituita fondamentalmente da carbonato di calcio. Deve la sua popolarità non solo al facile reperimento e autoproduzione in situ, ma anche alle sue doti di disinfettante (è alcalina), oltre che al suo color bianco latte riflettente i raggi del sole delle calure estive facendolo diventare il materiale più usato nel mediterraneo. 

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Già i Romani, ed i Fenici prima, avevano imparato ad usare la calce come materiale da costruzione, mescolata con la sabbia a formare la malta. Inizialmente adoperata nella forma di calce aerea (che indurisce solo se a contatto con aria) venne successivamente mischiata con pezzi di argilla cotta (vasellame, mattoni ecc.) oppure a pozzolana, una sabbia ricca di silice, che ne alterano le caratteristiche di resistenza, impermeabilità e soprattutto ne consentono la presa anche in ambienti non a contatto con aria (tipicamente sott’acqua), dando vita così le malte idrauliche, sebbene a base di calce aerea. Vitruvio, nella sua opera, De architectura, ne descrive la produzione a partire da pietre bianche, cotte in appositi forni dove perdono peso (oggi sappiamo in conseguenza della liberazione di anidride carbonica). Il materiale ottenuto, la calce viva, era poi  spenta gettandola in apposite vasche piene di acqua. Intervenendo su antiche case rurali della Puglia non ancora contaminate da intonaci a base cemento è ancora possibile scorgere le decine di strati di scialbo di calce sovrapposti che stratificano quelle antiche pareti, tanto che in alcuni casi è possibile poter datare, quasi puntualmente, l’età di quel paramento murario.

intonaco e paglia

La malta con cui erano legate le pietre o i tufi con cui venivano costruiti gli antichi manufatti pugliesi (Trulli, Masserie, ecc) era costituita da calce spenta (idrata) sabbia o terra, con l’aggiunta di paglia o altri vegetali, come rametti e foglie d’ulivo che completavano la finitura di protezione (intonaco) di quelle strutture. Questa tecnologia permetteva alle strutture di avere un comportamento elastico, dovuto proprio alla sua macroporosità e conseguente traspirabilità, (ciò che non permettono invece i premiscelati a base cemento in uso oggi)  con l’umidità invernale si dilatano (micro movimenti) e con la stagione estiva si restringono. Questa caratteristica restituisce alle strutture una sorprendente “personalità” data anche dalla plasticità che fa di quegli ambienti dei luoghi avvolgenti e freschi. Non un accenno di efflorescenze di muffe, non un’alone di umidità, tutto per i poteri intrinseci della calce che “disinfetta” e fa “respirare” i muri. Pratiche scioccamente dimenticate a causa della ennesima stupidità umana alla ricerca di una certa innovazione. Non possiamo più permettere che una tecnologia così interessante, ereditata dalla tradizione, maturata attraverso l’esperienza della storia, venga messa da parte a favore di tecniche e materiali più convenienti al modello di sviluppo contemporaneo. E’ anche per questo che dobbiamo rimettere in discussione il modello di sviluppo contemporaneo. Quel che produciamo non collima più con quel che più ci piace o che funziona ma con quel che più fa guadagnare, e non sono per niente certo che ci abbiamo guadagnato.

 

Per una mappa della Murgia interna

19 lunedì Gen 2015

Posted by terradegnazia in Paesaggio

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Arminio, Casa, Chicco Saponaro, Fasano, Giuseppe Vinci, Ianella, interna, Italia, Murgia, Paesologia, Terra d'Eganzia, Trevico, Trulli

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Da qualche giorno, con Chicco Saponaro, abbiamo iniziato a cogliere per immagini i villaggi rurali interni della bassa murgia, la murgia dei trulli, quella a ridosso delle province di Bari e Brindisi. Cominciamo di qui per avviare la collaborazione di Terra d’Egnazia con la Casa della Paesologia di Trevico per realizzare la Mappa dell’Italia Interna pensata da Franco Arminio.

Anche qui, nella bassa Murgia, vogliamo impegnarci per realizzare una mappa narrativa emozionale, a tratti precaria e provvisoria, di questa parte dell’Italia interna. Insomma, un tour per immagini che è già un racconto. I soli nomi di questi luoghi evocano immagini e scene arcaiche, la traduzione di veri e propri simboli, talvolta ancestrali. 

La prima tappa narrativa è stata Cocolicchio. Passeremo ancora da Lamie di Olimpia, Gabriele, Marinelli, Tumbinno, Serafino, Pistone, Caranna, Tufara, San Marco, Franceschiello, Ianella, Marziolla, Lamie Affascinate, Carbonelli, Scanzossa, Fascianello, Anazzo (Egnazia), Assunta, Amtonelli, Sicarico, Gorgofreddo, Loggia di Pilato, Sei Caselle, Cinque Noci, Pezzolla, Mancini, Serralta, Franceschiello, Pezze Vicine, Pezze di Monsignore, Torre Spaccata e tantissimi altri villaggi micro abitati un tempo, oggi sempre più trasfigurati dalla civiltà che gli ha tolto anche quel poco che avevano.

Di taluni resta lo spettro in cerca della sua anima ormai arresa. Talaltri sempre più irriconoscibili, vinti al cospetto della loro origine, vivono resistendo con un piede nella ruralità, l’altro a tentoni e in comodo ritardo nella modernità in continua accelerazione, in un mix di moderno antiquariato. Fino a quando il padrone del momento non acquisti ruderi e pietre per farne un resort con tanto di campo da golf annesso.

L’Italia interna certo non è solo quella tracciata dal “ministero della coesione territoriale – dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica“, ma quella che la civiltà ha pensato malamente di farne a meno, relegandola progressivamente nell’oblio della sua identità. Troppo distante dai ritmi, dai tempi, dai nomi e dalle forme, certe, assolute, conformi e conformanti, globali e globalizzanti della civiltà.

Giuseppe Vinci

Il Territorio del Popolo Sovrano

15 lunedì Set 2014

Posted by terradegnazia in Cittadinanza, Paesaggio, Territorio, Urbanistica

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ambiente, Barbanente, beni comuni, città, Codice dei Beni Culturali, consumo di suolo, Ministero dei Beni Cultrali, Piano Paesaggistico Territoriale Regionale, Vezio De Lucia

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di Giambattista Giannoccaro

La vicenda del progetto da 70 mln di euro del resort a 5 stelle di Nardò (il caso Deighton in Salento ), che in questi giorni suscita scalpore, per la bocciatura del progetto da parte della Soprintendenza ai Beni Culturali e Paesaggio e della Regione Puglia, (il Governo Italiano minaccia di occuparsi direttamente della questione), anche se ha già avuto chiare risposte da parte del presidente Vendola e dell’assessore Angela Barbanente, a mio giudizio ha bisogno di un commento più approfondito di quanto i media si sono limitati a fare. Il popolo pugliese, quello attento, non indifferente, attivo nella salvaguardia del territorio per uno sviluppo reale, condiviso e di lunga durata, è in grado di argomentare sulla vicenda ma soprattutto vuole sviscerare i motivi reali che stanno portando l’Italia ed in particolare la Puglia a diventare terra di conquista e soprattutto quali mezzi abbiamo per limitare i danni già perpetrati.

Il 12 settembre presso il Giardino dei Limoni di San Benedetto, a Conversano, dove si è tenuta la 10^ edizione di Lectorinfabula, dall’ 11 al 14 settembre, si è svolta una conversazione moderata da Oscar Buonamano, con Vezio De Lucia e Marica Di Pierri. Vezio De Lucia ha ricordato, per chi lo avesse dimenticato, che in Puglia è stato adottato un Piano Paesaggistico, che ha grande valore strategico per lo sviluppo pugliese ma bisogna seguire le sue regole e che, tra l’altro, è stato redatto secondo il “Codice dei beni culturali e del paesaggio”. Successivamente, rispondendo alla domanda del moderatore su “chi si deve occupare della difesa del territorio” De Lucia risponde: l’articolo 9 della Costituzione italiana svolge ampiamente questa funzione.

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“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”

tutto ciò ha un unico valore fondante: l’interesse collettivo.

Come dimostra Paolo Maddalena, nel suo Libro “Il Territorio Bene comune degli Italiani”   estremamente importante “distinguere  la proprietà comune o collettiva che ha il suo fondamento nella “sovranità” , dalla proprietà privata che ha il suo fondamento nella legge,” ristabilendo un equilibrio che negli ultimi decenni di storia italiana è stato tutto sbilanciato a favore della proprietà privata.

E’ necessario fare un breve excursus sulle vicende urbanistiche più importanti, non solo degli ultimi anni, per cercare di capire come sono andate le cose e soprattutto quanto altro si sta facendo per finire di spingere l’Italia nel più breve tempo possibile alla sua morte, in tutti i sensi.

Nel 1963, vi fu il primo tentativo di Riforma Urbanistica alla legge urbanistica del 1942 (tutt’ora in vigore), che cercò di salvaguardare il diritto alla casa abbattendo i costi dovuti alla rendita fondiaria, in cui si prevedeva l’obbligo per i comuni di acquistare i terreni, secondo il loro valore agricolo, compresi nella zona da urbanizzare, di procedere in un secondo momento all’urbanizzazione e di vendere poi ai costruttori, a prezzi ragionevoli, il diritto di superficie per un determinato numero di anni. La legge venne bocciata dalla stessa Democrazia Cristiana, partito in cui era parte attiva nella corrente di sinistra, l’onorevole Fiorentino Sullo, ispiratore della riforma, spinta dalle lobby degli speculatori edilizi e sostenuta dai partiti di destra.

Nel 1977 con la Legge Bucalossi, meno ambiziosa ma sicuramente positiva, il “potere” del “ius aedificandi” venne spostato alla Pubblica amministrazione, non come una facoltà insita nel diritto di proprietà privata, allora non si parlava di “licenza” ma di “concessione edilizia”. Già era un buon passo avanti. Tutto però venne rimescolato purtroppo grazie alla stessa Corte Costituzionale che qualche anno dopo, stranamente, con sentenza n°5 1980 considerò il ius aedificandi inerente al diritto di proprietà privata che fece si che s’introducesse nel Testo Unico per l’Edilizia (d.p.r. 2001 n°380) la dicitura “permesso di costruire”. Si fini così per consegnare definitivamente nelle mani dei palazzinari i terreni agricoli, i beni artistici e storici dando maggior rilievo al diritto di proprietà privata, anziché opporre l’esistenza, costituzionalmente convalidata, di un “diritto di proprietà o super proprietà” del popolo sul territorio.

E’ necessario, spiega ancora Paolo Maddalena, far capire che la tutela del paesaggio, dei beni culturali, ecc., non costituisce assolutamente un limite alla proprietà privata, ma è espressione di una tutela diretta da parte dell’ordinamento giuridico di beni che appartengono al popolo a titolo di sovranità, mentre invece è la proprietà privata che costituisce un limite al diritto di proprietà collettiva del popolo sul territorio, in quanto la proprietà privata individuale deve assicurare la “funzione sociale” del bene che si ha in proprietà e non può essere in contrasto con l’utilità sociale o arrecare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana. (art 41 e 42 della vigente Costituzione Italiana) In sostanza “funzione sociale” e “utilità sociale” non si perseguono con la distruzione del paesaggio o del patrimonio storico ed artistico della nazione.

Contestualmente il già citato Testo Unico per l’Edilizia, ha ulteriormente aggravato la condizione delle nostre città a causa dell’abrogato art. 12 della legge 10 1977 (Bucalossi) secondo cui:

“i proventi da oneri di urbanizzazione dovevano obbligatoriamente essere utilizzati dai Comuni per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria, il risanamento dei complessi edilizi compresi nei centri storici, le spese di manutenzione ordinaria del patrimonio comunale. E’ successo che con l’abrogazione di detto principio i comuni si sono sentiti liberi di impiegare dette entrate anche per le spese correnti, ed essendo queste ultime sempre crescenti, hanno cominciato ad allentare la guardia sulle autorizzazioni a costruire, o peggio a stimolare l’invasione del territorio, modificando piani regolatori, concedendo eccezioni e deroghe, chiudendo un occhio e più spesso entrambi, ed il fatto peggiore è che essendo diventati gli oneri di urbanizzazione un introito dal quale si aveva bisogno anno per anno, i comuni hanno accresciuto il numero delle costruzioni, allentando i controlli, cannibalizzando il territorio.” (Salvatore Settis)

In questi giorni sta per aggiungersi la proposta di legge Lupi:

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«Il governo del territorio è regolato in modo che sia assicurato il riconoscimento e la garanzia della proprietà privata […] e il suo godimento».

“Per Lupi infatti urbanistica coincide con edilizia e la riforma è dunque finalizzata a trovare linfa per il settore immobiliare, stagnante. La soluzione è semplice: rendere virtualmente edificabile l’intera penisola, per rafforzare la rendita fondiaria attraverso l’istituzione dei diritti edificatori «trasferibili e utilizzabili […] tra aree di proprietà pubblica e privata, e liberamente commerciabili» (art. 12). Il «registro dei diritti edificatori» sancisce la finanziarizzazione della disciplina: si profila uno scenario di urbanistica drogata, dove perequazione, compensazione, premialità ed esproprio (sì, esproprio, cfr. art. 11, c. 2) sono ripagati con titoli tossici come in un gioco di borsa. Tutto il contrario della pianificazione.

La proposta legislativa fluttua nel completo distacco dalla concretezza fisica del territorio e dell’ambiente urbano che tenta di governare; lo slittamento dall’oggetto della pianificazione (città e territorio) alle procedure, genera, in sede di presentazione, affermazioni eversive disciplinarmente, politicamente e socialmente, tra cui spicca, per duplice grossolana aporia, «la fiscalità immobiliare come leva flessibile [sic] del governo del territorio». Ma lungo l’articolato trapela la vera passione del ministro: le grandi opere. L’istituenda DQT, Direttiva Quadro Territoriale, quinquennale e direttamente approvata dal presidente del consiglio dei ministri (art. 5), è configurata come un piano nazionale delle infrastrutture (affinché non ci si debba più confrontare con ponti sullo Stretto «proclamati e mai realizzati») che sovverte l’ordine delle cose, subordinando il paesaggio al governo del territorio, in contrasto col Codice dei beni culturali.”

di Ilaria Agostini

( http://altracitta.org/2014/08/04/urbanistica-tossica-lupi-sulla-citta-e-la-vostra-casa-si-deprezza/ )

E’ di oggi la dichiarazione a “Il Fatto Quotidiano” dell’ex Ministro Bray contro il taglio dei fondi al Ministero dei Beni Culturali:

“Tutelare il nostro immenso patrimonio artistico è un dovere”. Parla l’ex ministro della Cultura e ora direttore editoriale dell’Enciclopedia Treccani, Massimo Bray (Pd), intervenendo alla festa del Fatto Quotidiano in corso a Roma (13 e 14settembre – Isola Tiberina) durante il dibattito “Beni e mali culturali italiani” con Antonello Caporale (il Fatto Quotidiano), Rita Paris (Direttore Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma), Anna Maria Bianchi (regista) e Tomaso Montanari (storico dell’arte e blogger de ilfattoquotidiano.it). Il predecessore del ministro Dario Franceschini è critico nei confronti del piano del governo Renzi che prevede il taglio del 3% ai ministeri. “Credo – dice Bray – che non si può rispettare l’articolo 9 della Costituzione riducendo le risorse, già scarse, al ministero dei Beni culturali. Risorse che andrebbero, invece, aumentate. E’ necessario acquisire maggiore consapevolezza del valore del nostro patrimonio e cambiare le politiche nei confronti della nostra ricchezza storica”

di Annalisa Ausilio

( http://tv.ilfattoquotidiano.it/2014/09/14/beni-culturali-bray-tagliare-fondi-al-ministero-e-contro-costituzione/296457/ )

Monopoli – Area ex Cementeria – Ultima Parte

10 martedì Giu 2014

Posted by terradegnazia in Paesaggio, Territorio, Urbanistica

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consumo di suolo, Francesco Selicato, Paolo Berdini, Paolo Maddalena, Perequazione urbanistica, Piano Paesaggistico Territoriale Regionale, questione ambientale, Rigenerazione urbana

Documento redatto dal Coordinamento di Associazioni e Movimenti

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  • Un altro argomento che appare e che scompare:

– La questione ambientale e la salute pubblica

La consultazione dei documenti disponibili visionati –  previa richiesta di accesso agli atti – presso gli uffici dell’Area Organizzativa IV Urbanistica, del Comune di Monopoli, in via Isplues n. 14 -, ha permesso di constatare che in data 16/06/2013 sono stati effettuati n° 3 carotaggi, più n°1 rilevazione piezometrica nell’area a monte di Via Nazario Sauro: tali rilievi hanno prodotto risultati entro i limiti della norma.

In tempi antecedenti però, nella missiva della Provincia di Bari, Servizio Polizia provinciale, Protezione civile ed Ambiente”, prot. 0099902 del  11/06/2012, si legge che:

“(…) in data 13/10/2011 presso i competenti uffici regionali si è tenuto un incontro preliminare per la definizione di un percorso  amministrativo relativo alla soluzione delle problematiche inerenti all’area in oggetto specificata. In tale sede, si è ritenuto necessario integrare le indagini ambientali già effettuate, con ulteriori campionamenti di terreni e acque sotterranee.”

Non ci è stato possibile visionare il verbale del succitato incontro, in virtù del fatto che tale documentazione non è risultata essere presente negli atti messi a disposizione.

Riteniamo invece di grande importanza il dato relativo ai campionamenti indicati in quel verbale – riferiti al sedime dello stabilimento ex-Italcementi – in quanto senz’altro fornirebbero alla cittadinanza un dato essenziale sull’eventuale stato di inquinamento della falda.

Pertanto chiediamo che tali rilevazioni siano rese disponibili e pubbliche.

Chiediamo, inoltre, se sono state effettuate caratterizzazioni sui materiali costituenti le due ciminiere, poiché nella documentazione visionata anche questi dati non erano presenti.

Lo ribadiamo anche in questa sede ritenendo possibile che le stesse ciminiere siano state costruite con componenti a base di amianto. 1920048_222664297938480_1220620187_n

  • Ripensare al modo in cui interveniamo sul territorio

Spesso incapaci di immaginare un diverso modello di sviluppo, realmente sostenibile e biocompatibile, continuiamo ad aggredire il territorio e l’ambiente di cui facciamo parte integrante.

Seghiamo il ramo su cui siamo seduti: attori economici attratti da soluzioni facili e immediate e mirate esclusivamente al profitto, amministratori desiderosi di procurarsi visibilità e facile consenso, cittadini che non riescono ad essere lungimiranti rispetto agli effetti dei propri comportamenti.

Per calcolo, o per abitudine, troppo spesso si converge su un consumo indiscriminato di risorse senza considerare gli effetti collaterali della propria condotta. Effetti che generano crisi e immiserimento complessivo del patrimonio e dell’economia, anche nel senso delle risorse “monetizzabili”.

Il prof. Paolo Berdini, insigne urbanista e studioso, già presidente dell’INU (Istituto Nazionale di Urbanistica) lo evidenzia molto bene: “con la crisi più si costruisce e più diminuisce il valore dei beni immobiliari delle famiglie, passati in pochi anni dal 20 al 40 per cento di riduzione; viceversa, dal 1994 al 2008, si era assistito a un aumento esponenziale del valore delle case. In tal senso, l’attuazione dei piani regolatori nelle grandi città, che contemplano un incremento di cemento spaventoso, aggraveranno ulteriormente la situazione.  E, alla fine, chi ci rimetterà veramente saranno proprio le amministrazioni locali, alcune delle quali, vedi Alessandria, Catania, Roma, Torino, Parma, sono fallite o quasi per la scellerata espansione urbanistica”.

La crisi del settore edile non sarà risolta, quindi, da un nuovo consumo di suolo, che, al contrario, dissipa le risorse pubbliche e private, e la ricchezza di comunità e famiglie generando una vera e propria spirale negativa.

E, a proposito di una crisi del settore edile che si autoalimenta e che contribuisce a determinare una crisi ambientale, ad un intervistatore che gli ricordava alcuni timori dell’ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili) rispetto all’adozione del Piano Paesaggistico Territoriale Regionale, il professor Magnaghi rispondeva: “Intanto non è certo il Piano paesaggistico ad aver determinato la crisi del settore edilizio, in corso da diversi anni, quanto una dissennata furia edificatoria che ci ha riempiti di capannoni e appartamenti vuoti in periferie degradate. Ora un Piano come questo può, al contrario, avviare un patto con i costruttori perché magari siano avviati anche investimenti pubblici sulla riqualificazione e sul riuso delle periferie del degrado con abbattimenti, ricostruzioni e riutilizzi”.

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Plano volumetrico dell’area ex cementeria all’interno del tessuto urbano esistente, visto in relazione agli assi stradali principali, al borgo ottocentesco ed al borgo antico. (Elaborazione Studio Prof. Ing. Francesco Selicato)

 

Un’intesa è quindi possibile “(…) purché il settore edilizio invece di pensare alla rendita breve si attrezzi con investimenti produttivi per la qualità del costruito, la sua valenza di risparmio e produzione energetica, senza più consumare suolo agricolo. È tempo che ci si preoccupi della qualità della vita, all’interno della città“.

Al contrario di ciò che spesso hanno pensato gli operatori meno lungimiranti, la salvaguardia del territorio non va in contrasto con l’economia ma addirittura la genera e la rigenera.
Lo hanno compreso molto bene il maggiore sindacato nazionale dei lavoratori edili, la Fillea CGIL e addirittura, almeno in alcune sue componenti, l’ANCE, l’Associazione Nazionale Costruttori Edili.

Potremmo citare molti altri autorevoli interventi sul tema, ma ci sembra indispensabile ricordare qui che il maggiore sindacato nazionale dei lavoratori edili, la Fillea Cgil, nello scorso gennaio, ha ufficialmente assunto una forte posizione proprio sul tema del contenimento del consumo di suolo.

Quello che può apparire un paradosso segnala l’urgenza, anzi la drammaticità del problema.
Crediamo valga la pena riportare queste dichiarazioni di Salvatore Lo Balbo, segretario nazionale Fillea:
“C’è bisogno di una nuova politica industriale delle costruzioni, in grado di dare un forte segnale di discontinuità con il passato. In gioco non c’è solo il futuro del lavoro del nostro settore, ma anche quello del nostro territorio.                        

Dice anche Danilo Barbi, segretario confederale CGIL: “Con la crisi, questo modello di sviluppo non funziona più, se è vero che, malgrado l’aumento delle cubature, le case finiscono invendute. È un modello superato, che ha creato ricchezza solo per pochi grandi proprietari e non l’ha redistribuita alla collettività, anzi, ha aumentato le diseguaglianze sociali. Ragion per cui, basta con il costruire tanto per costruire, ci vuole un nuovo modello di sviluppo basato sulla sostenibilità ambientale, sull’innovazione tecnologica, sulla riqualificazione urbana, con imprese più strutturate che puntino alla qualità del prodotto e con un governo che dia un nuovo indirizzo politico in tal senso, con processi di pianificazione pubblica da parte degli enti locali che puntino sui consumi collettivi anzichè su quelli privati”.

Aggiunge Walter Schiavella, segretario generale Fillea: “Dal 1994 ad oggi i comuni italiani – ha affermato Schiavella – hanno subito un progressivo esautoramento del controllo di tali interventi che sono stati pressochè liberalizzati. Pensiamo sia arrivato il momento di riportare nell’alveo di una corretta ed efficiente pianificazione urbana la definizione delle trasformazioni degli edifici e dei tessuti urbani esistenti. Il ventennio della deregulation e dei piani casa non solo non ha prodotto i risultati sperati in termini quantitativi, ma in moltissimi casi ha reso ancora più brutte e disordinate le periferie urbane. Occorre dunque rinnovare le città, costruire attraverso regole semplici, condivise ed efficaci che non permettano il perpetuarsi della logica speculativa che ha trionfato in questi anni”.

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Plano volumetrico di una simulazione progettuale sull’area ex cementeria. I volumi utilizzati in questo esempio non sono l’espressione degli indici del PUG o dei diritti edificatori trasferiti (perequazione urbanistica) ma la soluzione meno impattante sul tessuto urbano esistente. (Elaborazione Studio Prof. Ing. Francesco Selicato)

“E perciò – commenta l’autore delle interviste, Roberto Greco, per Salviamo il Paesaggio – rigenerazione dei centri storici, riqualificazione delle periferie, massima espansione delle infrastrutture esistenti dedicate alla mobilità collettiva urbana, suburbana ed extraurbana, guardando anche a ciò che accade nell’Europa del nord, dove ai comuni vengono riconosciuti adeguati finanziamenti per rendere concreti gli interventi di rinnovo urbano, finalizzati alla valorizzazione degli interessi pubblici. Da noi, fino ad oggi, si è operato al contrario, tagliando i trasferimenti alle autonomie locali per contenere il deficit pubblico”.

Per tutti questi motivi ci pare molto importante quanto ci dice ancora la Regione Puglia:

“(…) I luoghi della rigenerazione sono quelli che hanno più bisogno delle nostre cure: i contesti urbani periferici e marginali interessati da carenza di attrezzature e servizi; i contesti urbani storici interessati da degrado e abbandono; edifici e spazi aperti degradati; aree ed edifici dismessi. Oggi in Puglia, grazie ai tanti interventi di rigenerazione realizzati o in corso, molti spazi pubblici, della città storica o contemporanea – strade, piazze, mercati, parchi e  waterfront – sono stati restituiti agli abitanti come luoghi di relazione e socializzazione. Essi sono importanti non solo per migliorare la qualità della vita di chi vi abita ma anche per attrarre nuove popolazioni, funzioni e attività, generando così nuove reti di risorse culturali ed economiche”

Ci pare che la Regione si stia muovendo nella direzione che auspichiamo, cercando di svolgere un ruolo trainante, indicando  strade concretamente percorribili, offrendo strumenti e opportunità che sta a tutti noi – cittadini, amministratori, professionisti, imprenditori – decidere di cogliere.

Al termine di questa disamina delle importanti questioni che abbiamo davanti a noi ritorniamo al punto dal quale siamo siamo partiti:

la sovranità popolare, che va esercitata attraverso la partecipazione democratica, per difendere il territorio, inteso – dice ancora l’illustre giurista Paolo Maddalena, ex Presidente della Corte costituzionale –  «(…) come “ambiente”, meglio si direbbe, come ha affermato la Corte costituzionale, come “biosfera”, in modo da far rientrare in questo concetto, oltre il suolo e il sottosuolo, tutto ciò che esiste sul soprassuolo, e cioè l’atmosfera, le acque, la vegetazione e le stesse opere dell’attività dell’uomo», come «(…) “bene comune unitario”, formato da  ”più beni comuni”, in “appartenenza” comune e collettiva (…)», «(…) perché popolo e territorio, insieme con la sovranità, sono “parti costitutive” della medesima “comunità politica” (…)».

editing per il web arch. Giambattista Giannoccaro

Progetto “Imarfa” – Inno al consumo di suolo e destini del bene comune nella Terra d’Egnazia

23 mercoledì Apr 2014

Posted by terradegnazia in Paesaggio, Territorio, Urbanistica

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Città Diffusa, Convenzione Europea del Paesaggio, Diritto di Cittadinanza, Golf, San Domenico, Savelletri, Sprawl

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Passano i giorni, passano i mesi, passano gli anni. E mentre il tempo passa e con esso le obbligazioni amministrative sancite dalla UE, dal governo e dalle regioni (in questo caso la Regione Puglia), l’amministrazione comunale di Fasano, nonostante le rassicurazioni del sindaco e della giunta, va spedito verso l’inadempienza e il conseguente commissariamento. Perché?

Del Piano Comunale della Costa non se ne sa nulla, tutto tace, e tutti. O quasi. A quanto ci consta l’amministrazione comunale di Fasano allo stato attuale delle cose, non s’è minimamente preoccupata di indire un tavolo di concertazione con la cittadinanza (enti, associazioni, ecc.), per condividere il quanto mai indispensabile e necessario Piano Comunale della Costa. Perché?

Ci sono una serie di concomitanze legislative, convenzioni, programmi, leggi, a partire dalla convenzione di Arhus, per passare alla Legge Regionale n. 44 del 14 dicembre 2012 che regolamenta la VAS (valutazione Ambientale Strategica). Il tutto ruta intorno alla Delibera di Giunta Regionale n. 2273 del 13.10.2011 relativa all’approvazione del Piano Regionale delle Coste, è stata ripubblicata nella versione corretta sul Bollettino Ufficiale della Regione Puglia n. 174 del 9/11/2011; dal giorno successivo a tale data, sono decorsi i termini previsti per la presentazione dei Piani Comunali delle Coste (quattro mesi). Il tavolo di concertazione, come è stato fatto nella vicina città di Monopoli, non è solo un diritto, è soprattutto un obbligo delle amministrazioni comunali. A Fasano nulla di tutto questo. E proprio per questo ci corre l’obbligo di porre ulteriori legittime domande.

Quali sono le attività pianificatorie di trasformazione del nostro territorio? Dove sono rese pubbliche? Come mai in questi mesi sui media locali non abbiamo letto un articolo di giornale che parli dei programmi di sviluppo territoriale del comune di Fasano? Dai siti istituzionali della Regione sappiamo che l’attuale amministrazione ha  in corso diversi progetti ma non se ne parla. Vorremmo capire in fine se si sta procedendo o meno per dotarsi di un Piano Comunale della Costa e se siano stati incaricati dei progettisti.

Nessuno che accenni minimamente a quanto ci apprestiamo a sorbire ancora una volta inconsapevolmente. Vogliamo dire grazie a chi ha salvato Fasano dal contrabbando creando nuovi posti di lavoro. Ma dovrete scusarci se siamo sbadati e un pò smemorati, o forse avremo anche letto da qualche parte, o qualche amico ce ne avrà parlato e lo abbiamo dimenticato, chiediamo a chiunque possa farlo, che ci illumini: com’è finita la storia dell’ (ve lo citiamo così com’è riportato nella Relazione Tecnica, per la verifica di assoggettabilità a VAS – Valutazione Ambientale Strategica),

“ACCORDO DI PROGRAMMA FINALIZZATO AL MIGLIORAMENTO DELLE CONDIZIONI AMBIENTALI, PAESAGGISTICHE E DI FRUIBILITA’ PUBBLICA DELLA COSTA MEDIANTE LA DELOCALIZZAZIONE DELLE VOLUMETRIE DEL COMPLESSO INDUSTRIALE MARMIFERO IMARFA SULLA STRADA PROVINCIALE SAVELLETRI-TORRE CANNE”?

Per la cronaca, in sostanza il progetto prevede (e ci scusiamo per chi legge se qui non si parla di immondizia, di commissariamenti e delle telenovele di sindaci, assessori e consiglieri):

1) Miglioramento delle condizioni ambientali mediante delocalizzazione delle volumetrie….

Ci stanno dicendo: vi togliamo un “ecomostro” (così il relatore, tecnico incaricato chiama l’ex stabilimento Imarfa, col chiaro obbiettivo di entrare nelle grazie degli ambientalisti o dei valutatori) in cambio di volumi da trasformare in residenze e di trasferirle dove più gli aggrada. Non gli bastano i volumi già realizzati… l’appetito vien mangiando.. e poi se è così facile procurarsi da mangiare, mangiamoci tutto.

2) Restituzione di un’area di servizio alla balneazione al comune con la demolizione dell’ “ecomostro”attraverso:

“il recupero e la messa a disposizione dell’area attualmente occupata dal complesso marmifero con la realizzazione di manufatti di facile rimozione (chiosco bar, servizi igienici,ecc.) e sistemazioni esterne (aree a verde, solarium, parcheggi, parco giochi per bambini, area sportiva,ecc.) al fine di creare una struttura pubblica di servizi per la balneazione.”

Non vi sembra che ciò sia più congeniale agli interessi delle strutture ricettive dei “proponenti” il progetto in questione? L’area dell’ex marmeria sorge proprio sul lato mare della….ex Masseria S. Domenico.

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L’area della Ex Marmeria nell’idea di progetto – Fonte: Sito Web Comune di Fasano

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Gli insediamenti e le aree d’intervento di S. Domenico a ridosso della ex Marmeria – Fonte:Sito Web Comune di Fasano

L’esempio emblematico più immediato sono le aree a ridosso delle scogliere sistemate a prato delle “Case Bianche”. Queste, lasciate per qualche tempo ad uso di tutti, oggi recintate con tanto di cartelli di proprietà privata, piantumate a canneto, che impediscono oltretutto il “cono visuale” per una libera fruibilità del panorama costiero, sono diventate di uso esclusivo dei clienti del Campo da Golf.

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Savelletri Località “Case Bianche” 2014

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Savelletri Località “Case Bianche” 2009

I nuovi insediamenti a ridosso di S. Domenico sorgeranno proprio sul tracciato della Via Traiana, su quei terreni dove, ancor oggi, si rinvengono, mescolati alla terra, resti del passaggio dei viandanti di epoca romana e medievale.

In “cambio” l’amministrazione sta dando la possibilità di realizzare un “ecomostro” ancor più grande. Pochi se ne rendono conto, quel “ecomostro” sarà travestito da insediamento sparso… il più sparso possibile, privato, recintato, così da occupare sempre più suolo agricolo, così da privarci dell’unica “arma” di autosostenibilità di lunga durata che ci rimane, la terra.

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I nuovi insediamenti e le aree d’intervento a ridosso di Borgo Egnazia – Fonte:Sito Web Comune di Fasano

Tante nuove unità abitative tra Borgo Egnazia e S. Domenico….evvai… vorremmo forse trasformare quest’ambito in un laboratorio sullo Sprawl, dove far esercitare i massimi studiosi della “città diffusa”?

Lame e insediamento

Le aree degli interventi – Fonte Sito Web del Comune di Fasano

3)Tutto ciò si sta attuando attraverso una Variante al PRG, e sulla procedura, visto che non troviamo evidenze e non siamo stati invitati ad esprimere un parere da semplici cittadini sensibili ai temi relativi alla trasformazione del proprio territorio, chiediamo delle risposte all’assessore ed al dirigente all’urbanistica:

  • 1) Dalla Relazione Tecnica si evince che è stata implementata la procedura di VAS (Valutazione Ambientale Strategica) ma non ci risulta l’invito a chi ne potesse essere interessato,( la cittadinanza attiva fasanese o le associazioni regolarmente iscritte nelle liste di questo comunead esempio) per permettere un “Tavolo Partecipato” così come previsto dalla Convenzione di Aarhus, cui l’Italia ha dato ratifica ed esecuzione con la legge 16 marzo 2001 n. 108, relativa all’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale. Come mai la cittadinanza non è stata informata, almeno attraverso i media, dell’inizio di tali attività e della procedura di VAS?

Sulla Valutazione Ambientale Strategica di piani e programmi che possono avere un impatto significativo sull’ambiente vi è la 

LEGGE REGIONALE 14 dicembre 2012, n. 44

L’accesso alle informazioni, le attività di comunicazione e consultazione e la partecipazione pubblica sono considerati elementi essenziali dell’azione amministrativa in materia ambientale. (art.19 comma 1)

In tale prospettiva si individua la VAS come processo idoneo a perseguire soluzioni condivise di pianificazione e programmazione, nella prospettiva dello sviluppo sostenibile.

  • 2. Non siamo a conoscenza di quali e quanti contributi ci siano stati da parte dei Soggetti Competenti in Materia Ambientale (SCMA) coinvolti dall’amministrazione fasanese, per la procedura VAS, visto che i termini fissati per l’invio degli stessi scadevano il 09/03/2014.
  • 3. Non siamo a conoscenza se l’amministrazione si sia attivata con la stesura di una bozza, o altro, del Piano Comunale delle Coste.

NUVOLE E FANGO – Storie e controstorie della Terra d’Egnazia

17 giovedì Apr 2014

Posted by terradegnazia in Paesaggio, Territorio, Urbanistica

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Alberto Magnaghi, George Orwell, Golf, Lama d’Antico, Savelletri, Torre Canne

“Sapere dove andare e sapere come andarci sono due processi mentali diversi, che molto raramente si combinano nella stessa persona. I pensatori della politica si dividono generalmente in due categorie: gli utopisti con la testa fra le nuvole, e i realisti con i piedi nel fango”  [George Orwell]

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Savelletri, alba – Foto Chicco Saponaro

di Giambattista Giannoccaro

Ricordo una sera d’estate degli anni 70. Eravamo un gruppetto di piccoli pescatori impegnati a procurarci l’esca per la battuta di pesca della mattina successiva. Noi bambini sapevamo che lungo la banchina del porto si catturavano un sacco di gamberetti, ne erano ghiottissime bavose e ghiozzi. Beh, quella sera vi era una calma inquietante. Il porto di Torre Canne era completamente buio, ed il cielo non aveva ancora messo in mostra la grande luna piena che aspettavamo all’orizzonte, grande e rossa. Eravamo intenti con i retini a fare la nostra scorta di gamberetti della serata e sul più bello, dal nulla, comparve un signore alto e grasso che con fare minaccioso ci consigliò, in “chiaro” dialetto fasanese, di allontanarci immediatamente da quella posizione:

Wagliò… scitavinn da do!!! (Ragazzi… andate via di qua!)

E noi, ingenui e spavaldi rispondemmo con quel dissenso ingenuo di bambini, perché quel posto era il nostro micromondo, e guai a chi ce lo toccava: Ma perché? Noi veniamo sempre qui. E tu chi sei per imporci di andarcene???!!!

E lui urlando: Nan avet capejt allaur? Mu ve n’aveit a scì da do!!! (Non avete capito allora? Adesso dovete andar via di qua!) Perché?!….. non c’è perché!!!

E noi, come dei volpini, prima ringhianti e poi …spaventati, con la coda fra le gambe, raccogliemmo in fretta e furia secchiello e retino per sparire in un attimo. Non ci allontanammo di molto. Ci nascondemmo dietro un cespuglio del recinto di un orto costiero sopravvissuto ancora alla cementificazione, perché qualcosa non ci quadrava e volevamo capire perché quel signore era così arrabbiato ed infastidito dalla nostra presenza. In un batter d’occhio la banchina si popolò di furgoni e uomini. Subito dopo nel buio della notte comparve un motoscafo che, dal mare, a luci spente, si avvicinava alla banchina. Uno dei miei compagni di pesca e di avventure, non credeva ai suoi occhi nel vedere che fra quegli uomini sulla banchina c’era anche suo fratello maggiore. Lui era il più piccolo di nove figli di un pescatore della zona. Avevano un piccolo gozzo (vuzz), con il quale il padre si procurava da mangiare per i propri figli. Pescava quel che poteva, ricci, quando il mare non riusciva a dargli altro. Li vendeva sulla spiaggia già aperti e pronti per essere consumati.

Neanche il tempo di attraccare, cominciò un passamano velocissimo di grossi scatoloni verso i furgoni. Nel giro di 5 minuti il motoscafo sparì nuovamente nel nulla assieme ai furgoni, gli uomini e tutti gli scatoloni. Erano i tempi in cui tra Savelletri e Torre Canne si assisteva ad inseguimenti tra elicotteri della guardia di finanza e scafisti del contrabbando: sbarchi di sigarette a tutte le ore della giornata. A quei tempi si andava al mare con le famiglie, sei bambini ed una mamma in una FIAT 500; due ricci appena pescati, aperti e mangiati col culo nell’acqua; un polpo sbattuto, arricciato e diviso un cirro (tentacolo) a testa per essere immediatamente consumato. Con le biciclette, negli anni a seguire, scorrazzavamo liberi tra lame e masserie, ahimè ognuno con la propria fionda ricavata da rami d’ulivo, appesa al collo. Questa era munita di elastici ricavati dalle camere d’aria riciclate e caricatore in pelle, ricavato dalla linguetta di un vecchio (ma molto vecchio) paio di scarpe. Ci rifugiavamo sempre in un grande carrubo millenario, nella Lama d’Antico.

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Carrubo – Foto Chicco Saponaro

Poi arrivò (ma molto poi), l’”Operazione Primavera”. Il contrabbando “domestico” era stato nel frattempo fagocitato dalla Mafia. Le sigarette erano diventate il contorno di droga, armi, e vite umane. Poi arrivò qualcun’altro, l’ennesimo taumaturgo dedito a risollevare le sorti del territorio e soprattutto le sue. Ci doveva pur esser qualcuno per salvare il salvabile. Fu così che di colpo noi fasanesi ci siam fatti affascinare dai Resort a 5 stelle. Abbiamo preferito i campi da Golf (“in quei campi prima vi erano topi ed erbacce”, sono parole del sindaco di Fasano) e i villaggi disneyani, truccati da Borghi Antichi, imbellettati in stile Masseria Fortificata, alla faccia dell’enogastronomia e dei prodotti d’eccellenza della terra e del mare.

Dov’è finita la terra, gli orti, gli ortolani, i pescatori?! Tutto ciò lo abbiamo accettato in cambio di posti di lavoro? Ma non è la stessa musica sentita tra Taranto e l’ILVA? Ma certo!! Qui la posta in palio però non è l’inquinamento e lo svilimento di una città per le cause dirette di morte provocata, ma…  la nostra libertà’ e… la nostra terra. Ne vale davvero la pena?

Non siamo (e lo saremo sempre meno) più liberi di andare al mare. Quei posti dove ci sentivamo a casa nostra, dove il vicino di asciugamano era come il dirimpettaio di casa, con cui si divideva anche il pranzo, sono ormai in gran parte diventate di uso esclusivo di un “unico” privato e della sua bulimia conquistatrice di territorio di cui non si conosce ragione, o forse.

Produrremo sempre meno pomodori regina (se esistono ancora, visto che quelli prodotti sono per lo più degli ibridi) perché sarà tutto seminato a prato per il Golf, o per il giardino del Resort. L’acqua dei pozzi, un tempo salmastra, ottima per i nostri prodotti, sarà sempre più salata. Vogliamo rassegnarci al fatto che i poveri ortolani finiranno i loro giorni a curare i prati inglesi dei loro padroni? Al fatto che non avremo più pomodorini, cime di rapa, cucumarazz (barattieri), ecc., da esportare o da proporre a turisti?  E gli olivicoltori? Questi, assieme agli scomodi ulivi secolari (sradicati in questi giorni dalle euro-ruspe già all’opera), saranno decimati (anche grazie all’uso degli anticrittogamici per combattere la Xilella fastidiosa). Un’ottima soluzione per i signori del cemento e della speculazione, visto che gli ulivi secolari, con la legge regionale 14/07, non si possono più espiantare e vendere a migliaia di euro, pronti per prendere posto in lussuose ville del nord, se non addirittura per farne legna da ardere.

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L’Urlo – Foto di Giancarlo Bellantuono

Il problema è che ancora si fa fatica a comprendere la differenza fra ambiente e paesaggio. Se oggi possiamo parlare di paesaggio rurale pugliese nelle sue multiformi espressioni è perché la società contemporanea che lo richiede, lo “vede” però nelle forme trasformate della Terra. Il turismo culturale legge nei segni del lavoro umano, il paesaggio umano. Tutto ciò  richiede il concorso attivo delle energie istituzionali, economiche, sociali e culturali più innovative che puntano sulla tutela e valorizzazione delle straordinarie qualità del territorio pugliese e delle sue “genti vive”, per dirla alla Magnaghi (coordinatore scientifico del Piano Paesaggistico pugliese) per produrre un modello di sviluppo della regione di carattere endogeno, autosostenibile capace di produrre ricchezza durevole.

Dietro ogni potere egemonico c’è qualcuno consapevole che può essere “più facile dominare chi non crede in niente”, chi non ha ideali, chi non cerca quel sano spazio fra le nuvole, perché così resterà imbrigliato nell’indifferenza, diventando schiavo di quello stesso gioco di potere, finendo anch’egli con i piedi nel fango.

Non placheremo mai la nostra voglia di pensare e di divulgare quei sani ideali e principi o, come ci additò un giorno il sindaco fasanese, di essere“ipercritici”, se ciò si tradurrà in un fin’anche piccolo passo verso la libertà.

 

Foto: Chicco Saponaro, Giancarlo Bellantuono

 

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