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Il Territorio del Popolo Sovrano

15 lunedì Set 2014

Posted by terradegnazia in Cittadinanza, Paesaggio, Territorio, Urbanistica

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ambiente, Barbanente, beni comuni, città, Codice dei Beni Culturali, consumo di suolo, Ministero dei Beni Cultrali, Piano Paesaggistico Territoriale Regionale, Vezio De Lucia

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di Giambattista Giannoccaro

La vicenda del progetto da 70 mln di euro del resort a 5 stelle di Nardò (il caso Deighton in Salento ), che in questi giorni suscita scalpore, per la bocciatura del progetto da parte della Soprintendenza ai Beni Culturali e Paesaggio e della Regione Puglia, (il Governo Italiano minaccia di occuparsi direttamente della questione), anche se ha già avuto chiare risposte da parte del presidente Vendola e dell’assessore Angela Barbanente, a mio giudizio ha bisogno di un commento più approfondito di quanto i media si sono limitati a fare. Il popolo pugliese, quello attento, non indifferente, attivo nella salvaguardia del territorio per uno sviluppo reale, condiviso e di lunga durata, è in grado di argomentare sulla vicenda ma soprattutto vuole sviscerare i motivi reali che stanno portando l’Italia ed in particolare la Puglia a diventare terra di conquista e soprattutto quali mezzi abbiamo per limitare i danni già perpetrati.

Il 12 settembre presso il Giardino dei Limoni di San Benedetto, a Conversano, dove si è tenuta la 10^ edizione di Lectorinfabula, dall’ 11 al 14 settembre, si è svolta una conversazione moderata da Oscar Buonamano, con Vezio De Lucia e Marica Di Pierri. Vezio De Lucia ha ricordato, per chi lo avesse dimenticato, che in Puglia è stato adottato un Piano Paesaggistico, che ha grande valore strategico per lo sviluppo pugliese ma bisogna seguire le sue regole e che, tra l’altro, è stato redatto secondo il “Codice dei beni culturali e del paesaggio”. Successivamente, rispondendo alla domanda del moderatore su “chi si deve occupare della difesa del territorio” De Lucia risponde: l’articolo 9 della Costituzione italiana svolge ampiamente questa funzione.

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“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”

tutto ciò ha un unico valore fondante: l’interesse collettivo.

Come dimostra Paolo Maddalena, nel suo Libro “Il Territorio Bene comune degli Italiani”   estremamente importante “distinguere  la proprietà comune o collettiva che ha il suo fondamento nella “sovranità” , dalla proprietà privata che ha il suo fondamento nella legge,” ristabilendo un equilibrio che negli ultimi decenni di storia italiana è stato tutto sbilanciato a favore della proprietà privata.

E’ necessario fare un breve excursus sulle vicende urbanistiche più importanti, non solo degli ultimi anni, per cercare di capire come sono andate le cose e soprattutto quanto altro si sta facendo per finire di spingere l’Italia nel più breve tempo possibile alla sua morte, in tutti i sensi.

Nel 1963, vi fu il primo tentativo di Riforma Urbanistica alla legge urbanistica del 1942 (tutt’ora in vigore), che cercò di salvaguardare il diritto alla casa abbattendo i costi dovuti alla rendita fondiaria, in cui si prevedeva l’obbligo per i comuni di acquistare i terreni, secondo il loro valore agricolo, compresi nella zona da urbanizzare, di procedere in un secondo momento all’urbanizzazione e di vendere poi ai costruttori, a prezzi ragionevoli, il diritto di superficie per un determinato numero di anni. La legge venne bocciata dalla stessa Democrazia Cristiana, partito in cui era parte attiva nella corrente di sinistra, l’onorevole Fiorentino Sullo, ispiratore della riforma, spinta dalle lobby degli speculatori edilizi e sostenuta dai partiti di destra.

Nel 1977 con la Legge Bucalossi, meno ambiziosa ma sicuramente positiva, il “potere” del “ius aedificandi” venne spostato alla Pubblica amministrazione, non come una facoltà insita nel diritto di proprietà privata, allora non si parlava di “licenza” ma di “concessione edilizia”. Già era un buon passo avanti. Tutto però venne rimescolato purtroppo grazie alla stessa Corte Costituzionale che qualche anno dopo, stranamente, con sentenza n°5 1980 considerò il ius aedificandi inerente al diritto di proprietà privata che fece si che s’introducesse nel Testo Unico per l’Edilizia (d.p.r. 2001 n°380) la dicitura “permesso di costruire”. Si fini così per consegnare definitivamente nelle mani dei palazzinari i terreni agricoli, i beni artistici e storici dando maggior rilievo al diritto di proprietà privata, anziché opporre l’esistenza, costituzionalmente convalidata, di un “diritto di proprietà o super proprietà” del popolo sul territorio.

E’ necessario, spiega ancora Paolo Maddalena, far capire che la tutela del paesaggio, dei beni culturali, ecc., non costituisce assolutamente un limite alla proprietà privata, ma è espressione di una tutela diretta da parte dell’ordinamento giuridico di beni che appartengono al popolo a titolo di sovranità, mentre invece è la proprietà privata che costituisce un limite al diritto di proprietà collettiva del popolo sul territorio, in quanto la proprietà privata individuale deve assicurare la “funzione sociale” del bene che si ha in proprietà e non può essere in contrasto con l’utilità sociale o arrecare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana. (art 41 e 42 della vigente Costituzione Italiana) In sostanza “funzione sociale” e “utilità sociale” non si perseguono con la distruzione del paesaggio o del patrimonio storico ed artistico della nazione.

Contestualmente il già citato Testo Unico per l’Edilizia, ha ulteriormente aggravato la condizione delle nostre città a causa dell’abrogato art. 12 della legge 10 1977 (Bucalossi) secondo cui:

“i proventi da oneri di urbanizzazione dovevano obbligatoriamente essere utilizzati dai Comuni per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria, il risanamento dei complessi edilizi compresi nei centri storici, le spese di manutenzione ordinaria del patrimonio comunale. E’ successo che con l’abrogazione di detto principio i comuni si sono sentiti liberi di impiegare dette entrate anche per le spese correnti, ed essendo queste ultime sempre crescenti, hanno cominciato ad allentare la guardia sulle autorizzazioni a costruire, o peggio a stimolare l’invasione del territorio, modificando piani regolatori, concedendo eccezioni e deroghe, chiudendo un occhio e più spesso entrambi, ed il fatto peggiore è che essendo diventati gli oneri di urbanizzazione un introito dal quale si aveva bisogno anno per anno, i comuni hanno accresciuto il numero delle costruzioni, allentando i controlli, cannibalizzando il territorio.” (Salvatore Settis)

In questi giorni sta per aggiungersi la proposta di legge Lupi:

Riforma Lupi art.8

«Il governo del territorio è regolato in modo che sia assicurato il riconoscimento e la garanzia della proprietà privata […] e il suo godimento».

“Per Lupi infatti urbanistica coincide con edilizia e la riforma è dunque finalizzata a trovare linfa per il settore immobiliare, stagnante. La soluzione è semplice: rendere virtualmente edificabile l’intera penisola, per rafforzare la rendita fondiaria attraverso l’istituzione dei diritti edificatori «trasferibili e utilizzabili […] tra aree di proprietà pubblica e privata, e liberamente commerciabili» (art. 12). Il «registro dei diritti edificatori» sancisce la finanziarizzazione della disciplina: si profila uno scenario di urbanistica drogata, dove perequazione, compensazione, premialità ed esproprio (sì, esproprio, cfr. art. 11, c. 2) sono ripagati con titoli tossici come in un gioco di borsa. Tutto il contrario della pianificazione.

La proposta legislativa fluttua nel completo distacco dalla concretezza fisica del territorio e dell’ambiente urbano che tenta di governare; lo slittamento dall’oggetto della pianificazione (città e territorio) alle procedure, genera, in sede di presentazione, affermazioni eversive disciplinarmente, politicamente e socialmente, tra cui spicca, per duplice grossolana aporia, «la fiscalità immobiliare come leva flessibile [sic] del governo del territorio». Ma lungo l’articolato trapela la vera passione del ministro: le grandi opere. L’istituenda DQT, Direttiva Quadro Territoriale, quinquennale e direttamente approvata dal presidente del consiglio dei ministri (art. 5), è configurata come un piano nazionale delle infrastrutture (affinché non ci si debba più confrontare con ponti sullo Stretto «proclamati e mai realizzati») che sovverte l’ordine delle cose, subordinando il paesaggio al governo del territorio, in contrasto col Codice dei beni culturali.”

di Ilaria Agostini

( http://altracitta.org/2014/08/04/urbanistica-tossica-lupi-sulla-citta-e-la-vostra-casa-si-deprezza/ )

E’ di oggi la dichiarazione a “Il Fatto Quotidiano” dell’ex Ministro Bray contro il taglio dei fondi al Ministero dei Beni Culturali:

“Tutelare il nostro immenso patrimonio artistico è un dovere”. Parla l’ex ministro della Cultura e ora direttore editoriale dell’Enciclopedia Treccani, Massimo Bray (Pd), intervenendo alla festa del Fatto Quotidiano in corso a Roma (13 e 14settembre – Isola Tiberina) durante il dibattito “Beni e mali culturali italiani” con Antonello Caporale (il Fatto Quotidiano), Rita Paris (Direttore Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma), Anna Maria Bianchi (regista) e Tomaso Montanari (storico dell’arte e blogger de ilfattoquotidiano.it). Il predecessore del ministro Dario Franceschini è critico nei confronti del piano del governo Renzi che prevede il taglio del 3% ai ministeri. “Credo – dice Bray – che non si può rispettare l’articolo 9 della Costituzione riducendo le risorse, già scarse, al ministero dei Beni culturali. Risorse che andrebbero, invece, aumentate. E’ necessario acquisire maggiore consapevolezza del valore del nostro patrimonio e cambiare le politiche nei confronti della nostra ricchezza storica”

di Annalisa Ausilio

( http://tv.ilfattoquotidiano.it/2014/09/14/beni-culturali-bray-tagliare-fondi-al-ministero-e-contro-costituzione/296457/ )

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Città e campagna: tutti i colori del verde (I parte)

15 martedì Ott 2013

Posted by terradegnazia in Urbanistica

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Canaletto, città, colori, Fabrizio Bottini, Gouverneur Morris, I Camp Terra d'Egnazia, La città conquistatrice, Spazio pubblico, verde

canaletto

Ponte di Walton nel Surrey, Canaletto 1755

Intervento di Fabrizio Bottini al 1° Camp Terra d’Egnazia 21 sett 2013                editing per il web di Antonello Martinez Gianfreda

Versione semplificata e abbreviata del capitolo introduttivo a                               “La Città Conquistatrice. Un secolo di idee per l’urbanizzazione”.                                ed. Corte del Fontego, Venezia 2012.  di Fabrizio Bottini

(I Parte)

“When the man with a 45 meets the man with a rifle, the man with a pistol is a dead man.” (A Fistful of Dollars, regia di Sergio Leone, 1964)

L’aggettivo “urbano” si applica a tanti fenomeni diversissimi; riassume non solo varie conformazioni di spazi fisici, ma anche stili di vita, di consumo, aspettative di relazione sociale o di affermazione economica. Anche le stesse rilevazioni statistiche, nel tempo, si sono dovute adeguare a questa moltiplicazione di senso, per cui alla netta distinzione fra città e campagna si aggiungono le aree suburbane, o quelle esurbane: ovvero là dove la città certamente esiste, ma sotto mentite spoglie.

Naturalmente non è sempre stato così.

Nella Bibbia si trova un passaggio che recita: “avranno le città per abitarvi e il contado servirà per il loro bestiame, per i loro beni e per tutti i loro animali … si estenderà per lo spazio di mille cubiti fuori dalle mura della città tutt’intorno” (Numeri: 35:3-4). La prescrizione divina non è che una utile ricetta di vita quotidiana. La città è il luogo dell’intelletto, della trasformazione dell’ambiente per le necessità umane, di vita e relazione. La campagna è luogo della natura, sia nelle forme agricole che della foresta, dei fiumi, montagne e deserti. La ricerca di un equilibrio fra conoscenza e sconosciuto, ragione e istinto, natura e artificio nella Bibbia si traduce in precetti dove si distinguono un luogo centrale, e un’area intermedia di campagna coltivata dove la presenza umana sfuma via via negli spazi naturali.

Si improvvisa geometra e giurista anche il profeta Isaia, quando ammonisce: “Guai a quelli che aggiungono casa a casa, e uniscono campo a campo, fino a occupare ogni spazio, e diventano i soli proprietari in mezzo al paese!” (Isaia: 5:8). Salta all’occhio dalle parole del Profeta la consapevolezza della necessità di distinguere la casa dell’uomo da quella della natura: non solo si deve porre un limite all’avidità dei singoli ad occupare coi propri interessi tutto lo spazio, ma anche la città dovrà essere in qualche modo definita. Altrimenti l’ira di dio potrebbe scatenarsi senza pietà per nessuno

C’è anche qualcosa d’altro nelle parole della Bibbia, che si coglie a una secondo lettura: l’area grigia che oggi chiameremmo periferia, spazio rurale se osservato dalle mura urbane, ma diverso dalla selva oscura che si estende oltre. É il luogo che i pittori raffiguravano popolato da personaggi e oggetti tipicamente urbani, dalla dama che passeggia, al piccolo monumento, ma anche da simboli della natura misteriosa e ostile, pronta a prendere il sopravvento appena calano le tenebre. Non è forse un caso, se le grandi trasformazioni della rivoluzione industriale si annunciano anche nelle immagini della pittura.

Un quadro del Canaletto, realizzato nel periodo britannico, riassume il salto di qualità che cancella per molti decenni gli ammonimenti di Isaia. Si tratta del Ponte di Walton nel Surrey, dipinto nel 1755 circa, dopo la realizzazione della passerella a pedaggio che sostituisce l’originario traghetto sul Tamigi. L’area è lontana da Londra, e la ferrovia deve ancora essere inventata (la prima macchina di Watt è di una ventina di anni dopo), ma la sensibilità del pittore costruisce una scena dove spariscono i riferimenti alla natura misteriosa, e i personaggi e simboli tipicamente rurali.

Dame e signori eleganti, barcaioli, alberi radi, una specie di giardino più che di selva oscura, e in mezzo a tutto lo scintillante ponte reticolare in legno che consente alle carrozze di proseguire rapidamente. Si intravede la casa del custode per incassare il pedaggio, e l’idea di spazio “urbano” appare evidente: è un edificio a 2 piani senza troppe pretese, che potemmo immaginarci affacciato sulla piazza del paese. È un bel salto di qualità anche rispetto al suburbium delle ville signorili, come quella dove si rifugiano per sfuggire alla peste i giovani affabulatori del Decameron di Boccaccio, nelle forme di semi-castello delle dimore medicee, o più tardi palladiane.

Castello

Gouverneur Morris a cavallo tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX  unisce nella sua persona due aspetti essenziali: rappresenta il capitalismo democratico, e la tecnologia industriale che lo sta lanciando alla conquista del mondo. Morris è uno degli estensori della Costituzione degli Stati Uniti, e ha anche occasione di collaborare con Robert Fulton, uno dei leggendari pionieri del vapore. Nel 1807 Morris è nominato presidente della Commissione Strade di New York, col compito di stendere uno schema per la forma urbana di questa capitale, il cui marchio di fabbrica non poteva che derivare dalla tecnica e dal mercato, e riassumersi in un segno al tempo stesso banale e implacabile: un rettangolo definito dall’incrocio delle avenues che tagliano tutta l’isola di Manhattan dalla città esistente al fiume Harlem, con le più di 150 strade ortogonali.

Nuova immagine

Se ripensiamo all’intuizione artistica di Canaletto nel Ponte di Walton solo mezzo secolo prima, è evidente l’enorme passo in avanti compiuto dalle due generazioni cresciute nel segno della città-macchina, del mercato spinto dalla tecnologia. La traballante passerella sul Tamigi si proietta perentoria nelle linee rette che risalgono per chilometri e chilometri un territorio ancora sostanzialmente naturale, assoggettandolo virtualmente alla crescita urbana delle generazioni che verranno. La griglia regolare  funziona in due direzioni: dalla città e nella città. I grandi viali, ancora tracciati prevalentemente solo sulla carta, da un lato si inoltrano nel territorio rurale, e nella direzione opposta dei quartieri antichi, con linee precise e parallele contrastano l’intrico di percorsi e trasformazioni sedimentate dalla storia, arrestandosi a volte davanti a un monumento, piegando un po’ il percorso, oppure travolgendo tutto.

I viali della modernità assomigliano alla grandiosa prospettiva barocca, ma l’energia che li sottende li proietta molto più in là, nello spazio e nel tempo. Una vera e frattura nel ritmo delle cose, che non dovranno più evolversi secondo le stagioni della vita, i tempi dell’individuo, ma trovare nuovo respiro in sintonia con gli stantuffi della macchina a vapore.
La letteratura del XIX secolo è ricca di spunti in questo senso, dai Misteri di Parigi di Eugene Sue, con la città tortuosa, scura, popolata di personaggi sfuggenti, al Ventre di Parigi di Emile Zola, con gli “sventramenti” del prefetto Haussmann, che portano modernità tra le pieghe dei misteri; a chiudere col giornalistico Ventre di Napoli di Matilde Serao, dove si fa appello alla scienza e alle sue applicazioni urbanistiche, per spazzar via il retaggio di millenni di miseria e ingiustizia. Con un rettifilo, una ariosa avenue identica alle linee parallele tracciate verso le colline settentrionali di Manhattan, o ai boulevards del passeggio borghese di Parigi.

[continua]

Spazio Pubblico

30 martedì Lug 2013

Posted by terradegnazia in Cittadinanza, Libri, Territorio, Urbanistica

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ambiente, città, Fabrizio Bottini, Spazio pubblico, Terra d'Egnazia, Territorio

Spazio pubblico

Negli anni recenti anche in Italia si sono rese esplicite le tendenze verso una concezione privatistica e mercificata dello spazio pubblico, che inclina a cancellare tutto ciò che risulta estraneo al puro valore di scambio. La stessa involuzione si ritrova nell’idea più generale dei rapporti umani, nella chiusura e frammentazione della famiglia, dell’impresa, della corporazione, e si manifesta vistosamente nelle discussioni sulla privatizzazione dell’acqua o sul valore relativo dei poteri regolatori dello Stato. È possibile interrompere questa deriva reazionaria che sta progressivamente restringendo un diritto essenziale, storicamente legato all’esercizio stesso della democrazia? Studiosi di discipline sociali e territoriali, amministratori, sindacalisti, rappresentanti della società civile analizzano la questione, iniziando a delineare un progetto per restituire alla comunità i luoghi deputati alla socialità. L’occasione per intrecciare e confrontare punti di vista, discipline e soggetti è stata la Scuola estiva di Eddyburg, nel settembre 2009: una settimana di relazioni, seminari, incontri, gruppi di lavoro tematici e, infine, un convegno organizzato assieme alla Camera territoriale del lavoro – CGIL di Padova, con il contributo di Legambiente Padova.

Spazio pubblico, a cura di Fabrizio Bottini – Ediesse 2010 – €. 15.00

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