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NUVOLE E FANGO – Storie e controstorie della Terra d’Egnazia

17 giovedì Apr 2014

Posted by terradegnazia in Paesaggio, Territorio, Urbanistica

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Tag

Alberto Magnaghi, George Orwell, Golf, Lama d’Antico, Savelletri, Torre Canne

“Sapere dove andare e sapere come andarci sono due processi mentali diversi, che molto raramente si combinano nella stessa persona. I pensatori della politica si dividono generalmente in due categorie: gli utopisti con la testa fra le nuvole, e i realisti con i piedi nel fango”  [George Orwell]

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Savelletri, alba – Foto Chicco Saponaro

di Giambattista Giannoccaro

Ricordo una sera d’estate degli anni 70. Eravamo un gruppetto di piccoli pescatori impegnati a procurarci l’esca per la battuta di pesca della mattina successiva. Noi bambini sapevamo che lungo la banchina del porto si catturavano un sacco di gamberetti, ne erano ghiottissime bavose e ghiozzi. Beh, quella sera vi era una calma inquietante. Il porto di Torre Canne era completamente buio, ed il cielo non aveva ancora messo in mostra la grande luna piena che aspettavamo all’orizzonte, grande e rossa. Eravamo intenti con i retini a fare la nostra scorta di gamberetti della serata e sul più bello, dal nulla, comparve un signore alto e grasso che con fare minaccioso ci consigliò, in “chiaro” dialetto fasanese, di allontanarci immediatamente da quella posizione:

Wagliò… scitavinn da do!!! (Ragazzi… andate via di qua!)

E noi, ingenui e spavaldi rispondemmo con quel dissenso ingenuo di bambini, perché quel posto era il nostro micromondo, e guai a chi ce lo toccava: Ma perché? Noi veniamo sempre qui. E tu chi sei per imporci di andarcene???!!!

E lui urlando: Nan avet capejt allaur? Mu ve n’aveit a scì da do!!! (Non avete capito allora? Adesso dovete andar via di qua!) Perché?!….. non c’è perché!!!

E noi, come dei volpini, prima ringhianti e poi …spaventati, con la coda fra le gambe, raccogliemmo in fretta e furia secchiello e retino per sparire in un attimo. Non ci allontanammo di molto. Ci nascondemmo dietro un cespuglio del recinto di un orto costiero sopravvissuto ancora alla cementificazione, perché qualcosa non ci quadrava e volevamo capire perché quel signore era così arrabbiato ed infastidito dalla nostra presenza. In un batter d’occhio la banchina si popolò di furgoni e uomini. Subito dopo nel buio della notte comparve un motoscafo che, dal mare, a luci spente, si avvicinava alla banchina. Uno dei miei compagni di pesca e di avventure, non credeva ai suoi occhi nel vedere che fra quegli uomini sulla banchina c’era anche suo fratello maggiore. Lui era il più piccolo di nove figli di un pescatore della zona. Avevano un piccolo gozzo (vuzz), con il quale il padre si procurava da mangiare per i propri figli. Pescava quel che poteva, ricci, quando il mare non riusciva a dargli altro. Li vendeva sulla spiaggia già aperti e pronti per essere consumati.

Neanche il tempo di attraccare, cominciò un passamano velocissimo di grossi scatoloni verso i furgoni. Nel giro di 5 minuti il motoscafo sparì nuovamente nel nulla assieme ai furgoni, gli uomini e tutti gli scatoloni. Erano i tempi in cui tra Savelletri e Torre Canne si assisteva ad inseguimenti tra elicotteri della guardia di finanza e scafisti del contrabbando: sbarchi di sigarette a tutte le ore della giornata. A quei tempi si andava al mare con le famiglie, sei bambini ed una mamma in una FIAT 500; due ricci appena pescati, aperti e mangiati col culo nell’acqua; un polpo sbattuto, arricciato e diviso un cirro (tentacolo) a testa per essere immediatamente consumato. Con le biciclette, negli anni a seguire, scorrazzavamo liberi tra lame e masserie, ahimè ognuno con la propria fionda ricavata da rami d’ulivo, appesa al collo. Questa era munita di elastici ricavati dalle camere d’aria riciclate e caricatore in pelle, ricavato dalla linguetta di un vecchio (ma molto vecchio) paio di scarpe. Ci rifugiavamo sempre in un grande carrubo millenario, nella Lama d’Antico.

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Carrubo – Foto Chicco Saponaro

Poi arrivò (ma molto poi), l’”Operazione Primavera”. Il contrabbando “domestico” era stato nel frattempo fagocitato dalla Mafia. Le sigarette erano diventate il contorno di droga, armi, e vite umane. Poi arrivò qualcun’altro, l’ennesimo taumaturgo dedito a risollevare le sorti del territorio e soprattutto le sue. Ci doveva pur esser qualcuno per salvare il salvabile. Fu così che di colpo noi fasanesi ci siam fatti affascinare dai Resort a 5 stelle. Abbiamo preferito i campi da Golf (“in quei campi prima vi erano topi ed erbacce”, sono parole del sindaco di Fasano) e i villaggi disneyani, truccati da Borghi Antichi, imbellettati in stile Masseria Fortificata, alla faccia dell’enogastronomia e dei prodotti d’eccellenza della terra e del mare.

Dov’è finita la terra, gli orti, gli ortolani, i pescatori?! Tutto ciò lo abbiamo accettato in cambio di posti di lavoro? Ma non è la stessa musica sentita tra Taranto e l’ILVA? Ma certo!! Qui la posta in palio però non è l’inquinamento e lo svilimento di una città per le cause dirette di morte provocata, ma…  la nostra libertà’ e… la nostra terra. Ne vale davvero la pena?

Non siamo (e lo saremo sempre meno) più liberi di andare al mare. Quei posti dove ci sentivamo a casa nostra, dove il vicino di asciugamano era come il dirimpettaio di casa, con cui si divideva anche il pranzo, sono ormai in gran parte diventate di uso esclusivo di un “unico” privato e della sua bulimia conquistatrice di territorio di cui non si conosce ragione, o forse.

Produrremo sempre meno pomodori regina (se esistono ancora, visto che quelli prodotti sono per lo più degli ibridi) perché sarà tutto seminato a prato per il Golf, o per il giardino del Resort. L’acqua dei pozzi, un tempo salmastra, ottima per i nostri prodotti, sarà sempre più salata. Vogliamo rassegnarci al fatto che i poveri ortolani finiranno i loro giorni a curare i prati inglesi dei loro padroni? Al fatto che non avremo più pomodorini, cime di rapa, cucumarazz (barattieri), ecc., da esportare o da proporre a turisti?  E gli olivicoltori? Questi, assieme agli scomodi ulivi secolari (sradicati in questi giorni dalle euro-ruspe già all’opera), saranno decimati (anche grazie all’uso degli anticrittogamici per combattere la Xilella fastidiosa). Un’ottima soluzione per i signori del cemento e della speculazione, visto che gli ulivi secolari, con la legge regionale 14/07, non si possono più espiantare e vendere a migliaia di euro, pronti per prendere posto in lussuose ville del nord, se non addirittura per farne legna da ardere.

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L’Urlo – Foto di Giancarlo Bellantuono

Il problema è che ancora si fa fatica a comprendere la differenza fra ambiente e paesaggio. Se oggi possiamo parlare di paesaggio rurale pugliese nelle sue multiformi espressioni è perché la società contemporanea che lo richiede, lo “vede” però nelle forme trasformate della Terra. Il turismo culturale legge nei segni del lavoro umano, il paesaggio umano. Tutto ciò  richiede il concorso attivo delle energie istituzionali, economiche, sociali e culturali più innovative che puntano sulla tutela e valorizzazione delle straordinarie qualità del territorio pugliese e delle sue “genti vive”, per dirla alla Magnaghi (coordinatore scientifico del Piano Paesaggistico pugliese) per produrre un modello di sviluppo della regione di carattere endogeno, autosostenibile capace di produrre ricchezza durevole.

Dietro ogni potere egemonico c’è qualcuno consapevole che può essere “più facile dominare chi non crede in niente”, chi non ha ideali, chi non cerca quel sano spazio fra le nuvole, perché così resterà imbrigliato nell’indifferenza, diventando schiavo di quello stesso gioco di potere, finendo anch’egli con i piedi nel fango.

Non placheremo mai la nostra voglia di pensare e di divulgare quei sani ideali e principi o, come ci additò un giorno il sindaco fasanese, di essere“ipercritici”, se ciò si tradurrà in un fin’anche piccolo passo verso la libertà.

 

Foto: Chicco Saponaro, Giancarlo Bellantuono

 

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IL PPTR – La via pugliese allo sviluppo sostenibile*

14 giovedì Nov 2013

Posted by terradegnazia in Paesaggio, Territorio, Urbanistica

≈ 1 Commento

Tag

Alberto Magnaghi, Pianificazione Territoriale, Piano Paesaggistico, Puglia, sviluppo sostenibile

*Secondo la definizione tradizionale, lo sviluppo sostenibile è “uno sviluppo che risponde alle esigenze del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie”. In altri termini, la crescita odierna non deve mettere in pericolo le possibilità di crescita delle generazioni future. Le tre componenti dello sviluppo sostenibile (economica, sociale e ambientale) devono essere affrontate in maniera equilibrata a livello politico. La strategia per lo sviluppo sostenibile, adottata nel 2001 e riveduta nel 2005, è completata tra l’altro dal principio dell’integrazione della problematica ambientale nelle politiche europee aventi un impatto sull’ambiente. (Fonte: sito ufficiale dell’Unione Europea)

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– a cura di Giambattista Giannoccaro

– Foto Chicco Saponaro

Attraverso la pubblicazione di alcune parti degli atti contenuti all’interno dei Quaderni del Paesaggio del PPTR pugliese, iniziamo un percorso di informazione che Terra d’Egnazia sente il dovere di mettere in campo.  In questa maniera vogliamo significare quanto lungo, complesso ma soprattutto partecipativo sia stato il processo di costruzione del Piano Paesaggistico Regionale Pugliese adottato lo scorso agosto e che ha provocato inutili allarmismi da un lato e facili entusiasmi dall’altro. Si vuole dare merito agli innumerevoli attori che vi hanno partecipato e fare soprattutto chiarezza su quanto sia ancora lunga la strada per riuscire, tutti insieme, a definire uno strumento definitivo e percepire le grandi potenzialità di sviluppo, “mirato”, contenute nel piano stesso. Alberto Magnaghi (Architetto e Professore  Ordinario di Pianificazione Territoriale presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze dove dirige il Laboratorio di Progettazione Ecologica degli  Insediamenti per lo sviluppo qualitativo locale dove ha elaborato il concetto di “sviluppo autosostenibile locale ” ) è il Coordinatore Scientifico del Piano. Vogliamo iniziare proprio pubblicando una sintesi dei suoi scritti, cercando il più possibile di parlare un linguaggio comune, per cominciare a far avvicinare il più possibile la gente ad una materia, la pianificazione territoriale, per giungere insieme a comprendere certe argomentazioni. Magnaghi sottolinea che “la Puglia non è trattabile come un “paese ancora insufficientemente pianificato” (che deve cioè imitare e raggiungere modelli emiliani o toscani), ma deve trovare una strada originale, nel vivo della propria autoriforma, al buon governo del territorio. Il PPTR è davvero un “progetto di valorizzazione socioeconomica del patrimonio dei paesaggi della Puglia” e “se oggi possiamo parlare di paesaggio rurale pugliese nelle sue multiformi espressioni…è perché la società contemporanea richiede il paesaggio, lo “vede” nelle forme trasformate della Terra. Il turismo culturale legge nei segni del lavoro umano, il paesaggio umano”. Tutto ciò  “richiede il concorso attivo delle energie istituzionali, economiche, sociali e culturali più innovative che puntano sulla tutela e valorizzazione delle straordinarie qualità del territorio pugliese e delle sue “genti vive” per produrre un modello di sviluppo della regione di carattere endogeno, autosostenibile capace di produrre ricchezza durevole“, per diventare, insieme, i primi attori, consapevoli delle trasformazioni dei nostri territori per non restare spettatori passivi ed “ignoranti”.

(G.G.)

(Prima Parte)

Dicembre 2008 – La costruzione sociale del Piano: metodi, obiettivi, strategie

Il Piano Paesaggistico alla prova pubblica
di Alberto Magnaghi

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La via pugliese alla Pianificazione Paesaggistica 

“Un piano è innanzitutto un evento culturale: le trasformazioni che è in grado di indurre non si misurano solo con la sua cogenza tecnico-normativa (in Puglia largamente inefficace,  dato lo storico deficit gestionale e applicativo della pianificazione), ma anche con la capacità  di trasformazione delle culture degli attori che producono il territorio e il paesaggio.
Ritengo che la via pugliese al piano paesaggistico si situi in un contesto in cui la Pianificazione non è (non è stata, non è ancora) la forma ordinaria di governo del territorio  e che per arrivarci gli sforzi compiuti dall’attuale amministrazione regionale per mobilitare  la società pugliese in questa direzione siano essenziali a compiere la trasformazione culturale necessaria. D’altra parte, il bilancio critico del territorio e del paesaggio della contemporaneità, sviluppato nell’ambito del primo seminario del Comitato scientifico (Natura e ruolo dei piani paesaggistici regionali) non ha risparmiato le Regioni dove la Pianificazione è da tempo il metodo di governo del territorio (ad esempio Emilia Romagna e Toscana), mostrando crudamente il divario fra piani e bassa qualità dell’urbanizzazione.
Dunque dopo il seminario la risposta unanime è stata: la Puglia non è trattabile come un “paese ancora insufficientemente pianificato” (che deve cioè imitare e raggiungere modelli emiliani), ma deve trovare una strada originale, nel vivo della propria autoriforma, al buon governo del territorio.
La ricerca di questa via si situa in un difficile equilibrio fra due tendenze opposte:
– la prima riguarda l’assenza di una cultura storica municipale, il protrarsi di un sistema decisionale patrizio, centralistico, esogeno e burocratico fin agli albori del novecento, una storia di lunga durata di dominazioni e dipendenze socioeconomiche esogene che si proietta sulla attuale persistenza di una dipendenza economica e di scarsa imprenditività in molti settori (dall’agricoltura al terziario) e sulla speculare inerzia burocratica della struttura amministrativa; inerzia che si accompagna a sua volta a politiche distributive, ovvero alla erogazione prevalentemente clientelare di ingenti finanziamenti pubblici; si tratta di elementi che parrebbero indicare come via “culturalmente” più efficace per il paesaggio un piano fortemente autoritativo di “comando e controllo”, cui peraltro pare alludere l’ultima versione del Codice di beni culturali e del paesaggio, atta a rinforzare il ruolo dello stato centrale nel governo dei beni paesaggistici;
– dall’altra un diffuso anarco-abusivismo privato (ma anche anarco-governo pubblico, ancora circa cento comuni con piani di fabbricazione, pochi adeguamenti ai PUG -Piano Urbanistico Generale- del DRAG –Documento Regionale di Assetto Generale-) e un brulicare di intrecci locali di interessi pubblici e privati; tendenze che si fronteggiano con le forti tensioni etiche di un ceto intellettuale cosmopolita, di un mondo associativo, di amministratori locali e, in parte, imprenditivo, fortemente motivati al cambiamento e al rinnovamento della cultura locale e del territorio verso l’autoriconoscimento identitario, la riappropriazione di percorsi di autodeterminazione culturale, economica, politica e la valorizzazione delle risorse endogene fra cui il paesaggio.
Siamo di fronte a un insieme fortemente innovativo di soggetti che parrebbe al contrario suggerire la via della costruzione di patti e contratti fortemente radicati nell’identità del luogo, capaci di ricomporre interessi particolaristici in un quadro di riconoscimento di beni comuni come il territorio, l’ambiente, il paesaggio. Valori questi su cui fondare un diverso sviluppo locale, vincendo “dal basso” l’abusivismo, il burocratismo, la dipendenza.
Questo quadro fortemente disaggregato fra pulsioni centralistico-autoritarie e tensioni civiche verso la cittadinanza attiva, parrebbe indicare alcune suggestioni strategiche per la “tipologia” del Piano paesaggistico della Puglia: un piano che sviluppi una forte processualità negoziale e partecipativa come strumento per la costruzione di un neomunicipalismo di cittadinanza attiva.”

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Perché le conferenze d’area: un tassello dell’organizzazione del processo
partecipativo per la produzione sociale del Piano

“Il piano paesaggistico, che è in primis finalizzato a denotare e rappresentare le peculiarità patrimoniali in campo ambientale, territoriale, paesistico, agroalimentare e culturale dei molteplici e diversificati paesaggi della Puglia, si pone come strumento per progettare coralmente un futuro volto a superare la dipendenza culturale e economica, cui ho fatto cenno nella premessa, che dall’agricoltura, all’industria di base al terziario, mortifica storicamente la capacità di autodeterminazione, autogoverno e sovranità della regione stessa. In questa prospettiva assumono importanza una serie di azioni e processi avviati durante la costruzione del piano finalizzati ad attivare percorsi di governance e di democrazia partecipativa di cui le attuali conferenze d’area sono un momento significativo.
Questi percorsi riguardano:

– il sito web interattivo, che ha lo scopo di raggiungere il maggior numero di cittadini, associazioni, produttori per la costruzione condivisa di una cultura del paesaggio, delle azioni di salvaguardia e valorizzazione;

http://paesaggio.regione.puglia.it

– il patto con i “produttori di paesaggio” (associazioni imprenditoriali in campo agricolo, artigianale, commerciale, turistico, edilizio, infrastrutturale e dei trasporti). In una prima serie di interviste ad attori privilegiati, si è delineato il quadro delle poste in gioco da parte dei diversi attori;

– l’istituzione di forme premiali (marchi di qualità paesaggistica, agevolazioni, incentivi) per agricoltori e operatori agrituristici e turistici che salvaguardano e restaurano il paesaggio rurale storico, le infrastrutture e gli edifici rurali tradizionali, la valorizzazione di luoghi di ospitalità diffusa nelle città storiche dell’interno;

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– i bandi (per idee progettuali e buone pratiche istituzionali) attivati dal Forum per il paesaggio;

– l’ attivazione dei progetti pilota sperimentali che intendono testare i diversi temi che riguardano gli obiettivi di qualità paesaggistica e i processi di governance e partecipazione del piano attraverso protocolli fra l’Assessorato all’Assetto del Territorio e specifici soggetti del territorio;

– le azioni di promozione della partecipazione attivate dall’Assessorato alla trasparenza della Regione, in collaborazione con l’Assessorato all’Assetto del territorio. Le azioni riguardano due settori fondamentali per estendere il processo partecipativo:
-la comunicazione (promozione dell’informazione sul Piano)
– lo sviluppo della cittadinanza attiva (workshop, forum, animazioni sociali, iniziative culturali, ecc).
– la promozione delle attività di valorizzazione turistica diffusa dei centri dell’interno
(azioni sperimentali nei comuni che partecipano ai progetti pilota)
– la pubblicazione dei quaderni del Piano, in primis gli atti dei seminari del Comitato scientifico.

Fonte: http://paesaggio.regione.puglia.it/images/area_download

/quaderni/quaderno%203%20conferenze%20darea.pdf

(Continua)

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