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di Giambattista Giannoccaro

Foto Chicco Saponaro e Giambattista Giannoccaro

Negli ultimi anni, l’amministrazione regionale pugliese, ha prodotto le più interessanti attività pianificatorie della sua storia che la vedono citata ed apprezzata in Italia ed Europa per l’adozione di uno dei più interessanti piani paesaggistici regionali Italiani che, in più porta la firma di Alberto Magnaghi, (leggi anche “Il PPTR la via Pugliese allo sviluppo sostenibile” del 14 nov).

Una regione, quella pugliese, inserita però in un contesto sociale in cui la Pianificazione non è la forma ordinaria di governo del territorio e che per arrivarci dovrà ancora compiere enormi sforzi per giungere alla trasformazione culturale necessaria, soprattutto per l’assenza di una cultura storica municipale, per il protrarsi di un sistema decisionale d’elite, centralistico e burocratico che dal passato si proietta sulla attuale persistenza di una dipendenza economica e di scarsa imprenditività in molti settori, dall’agricoltura al terziario.

Fra gli strumenti pianificatori dell’ attuale amministrazione  il Piano Regionale delle Coste (PRC) della Puglia, di cui all’art. 3 della Lr n.17 del 23.06.2006, adottato dalla Giunta Regionale nel luglio 2009 (con la delibera n. 1392 del 28/07/2009) e approvato con Dgr n.2273 del13.10.2011,  si prefigge di “garantire il corretto equilibrio fra la salvaguardia degli aspetti ambientali e paesaggistici del litorale pugliese, la libera fruizione e lo sviluppo delle attività turistico ricreative” (art. 1 norme tecniche di attuazione del PRC). In sintesi, il piano cerca di promuovere una relazione positiva tra tutela e sviluppo della costa.

Il PRC e di conseguenza i PCC  (Piani Comunali delle Coste definiti dall’Art. 4 della Lr n.17 del 23.06.2006) vanno visti come un’opportunità per affrontare in maniera interdisciplinare i molteplici conflitti che si presentano sulle aree costiere e per superare quella frammentazione delle conoscenze e quegli approcci di tipo settoriale che rendono difficile la formulazione di politiche efficaci di gestione della fascia costiera sul piano economico, sociale, paesistico e ambientale.

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Così dovrebbe essere per il PCC monopolitano, datato maggio 2013, la cui bozza, presentata il 31 ottobre  alla cittadinanza ed aperto al tavolo tecnico, voluto dall’assessorato all’urbanistica, presieduto dal neoeletto Stefano Lacatena,  il 18 novembre scorso. Tra i 13 gruppi accreditati, erano presenti anche, oltre a Terra d’Egnazia, il Comitato Costa Libera Monopoli, il WWF Monopoli, l’associazione Mare Libero, il Movimento Manisporche, e Cesare Bellantuono, consigliere nazionale del SIB (Sindacato Italiano Balneari).

Tavolo Tecnico

La Relazione Generale del PCC monopolitano  testualmente esordisce:

“Il Piano Comunale delle Coste, per definizione, è lo strumento di assetto, gestione, controllo e monitoraggio del territorio costiero comunale in termini di tutela del paesaggio, di salvaguardia dell’ambiente, di garanzia del diritto dei cittadini all’accesso e alla libera fruizione del patrimonio naturale pubblico, nonché di disciplina per utilizzo eco-compatobile.”

Premessa, nostro malgrado, senza sostanza. Nemmeno accennato un riferimento al PPTR, nei documenti resi pubblici della Bozza del PCC, che potremmo definire banale, datato come modalità di approccio pianificatorio e fine a se stesso, anzi, la dove definisce le “Aree con divieto assoluto di Concessione” rimette tutto in discussione nelle conclusioni qui di seguito:

Come risulta evidente dalla presente relazione, gran parte della costa monopolitana, risulta inadeguata all’installazione di strutture legate alla balneazione semplicemente perché interessata dalla presenza delle innumerevoli fasce di rispetto delle lame”  (le lame vengono viste come oggetto negativo e di impedimento alle nuove concessioni). e come risposta alla questione di “garanzia del diritto dei cittadini all’accesso e alla libera fruizione del patrimonio naturale pubblico” conclude:

E’ chiaro che studi specifici approfonditi a livello locale, redatti nel rispetto delle NTA del PAI ed ivi approvati dall’Autorità di Bacino della Puglia, potrebbero portare alla ridefinizione delle aree di rispetto, determinando una riduzione delle aree a divieto assoluto di concessione”

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E’ il solito piano calato dall’alto, come fosse localizzato nel deserto, che invece deve tener conto (non solo attraverso la illusoria apertura alla partecipazione avviata con il tavolo tecnico), della cultura del vivere il mare dei monopolitani e dello sviluppo reale e distribuito su tutto il territorio, con i fatti. Se si considera che non si è nemmeno ipotizzato di demandare ad azioni future le sue previsioni di sviluppo (turistico e non solo) del comparto produttivo dell’ entroterra, assieme alle emergenze ambientali e paesaggistiche in cui si colloca, (orti, lame e strutture ricettive rurali), allora i fatti ancora non lo dimostrano.

Un grande sostegno alla domanda di paesaggio e straordinari suggerimenti si sarebbero avuti dalla sola lettura del nuovo Piano Paesaggistico Regionale, soprattutto per il suo respiro strategico (Valorizzazione e riqualificazione integrata dei paesaggi costieri, Parco Agricolo degli Ulivi,  Mobilità Dolce, e via dicendo) per l’attuazione di uno sviluppo (sostenibile!) dell’intero territorio.

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Per concludere diciamo che è evidente il grosso gap culturale nel linguaggio tecnico degli addetti ai lavori, perdendo di vista le opportunità di sviluppo reale che si possono creare in momenti storici come quelli che stanno interessando la pianificazione strategica pugliese e nello specifico, monopolitana. L’amministrazione monopolitana dovrebbe approfittare di questo tavolo tecnico, folto e colto  per far si che la cultura urbanistica “avanguardista” contenuta anche nel PPTR, diventi un esempio da replicare.

La città contemporanea in generale è troppo incline alla rendita. Volete o nolente, il linguaggio con cui si esprime il paesaggio è alla fine il linguaggio della società che lo ha segnato, lo ha fatto proprio, lasciandovi il marchio del proprio passaggio e contiene tutte le verità che le società umane sanno inscrivere in esso e raccontare. Il racconto del paesaggio corrisponde alla storia della società che in quel paesaggio ha proiettato il suo agire materiale e la sua cultura, per questo possiamo dire che il paesaggio è sempre, implicitamente, un “paesaggio culturale”, in quanto manifestazione di quella società, del suo modo di proporsi nel suo ambiente, è il racconto dei modi in cui la società ha posto le sue basi in quel territorio.

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Immaginando quel paesaggio tramandato dai nostri avi e aprendo gli occhi oggi sul racconto che i nostri figli si troveranno davanti, se non vi porremo un limite, quello stesso paesaggio, non sarà degno della sua straordinaria storia.